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  • Categoria: Back In The Dayz
  • Scritto da Klaus Bundy

Una strada per Phife Dawg: una vittoria per l'hip-hop e l'America nera

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Nella giornata di venerdì scorso, di fronte ad una nutrita folla di ammiratori festanti, la città di New York ha onorato la memoria di uno dei suoi più brillanti figli, dedicando al compianto Malik “Phife Dawg” Taylor degli A Tribe Called Quest – a quasi otto mesi esatti dalla morte – una strada, nel Queens.

La via - che si trova nel quartiere di St. Albans, tra la Linden Boulevard e la 192esima Strada – è stata quindi rinominata Malik “Phife Dawg” Taylor Way, un simbolo che rappresenterà per sempre la leggenda di un peso massimo del movimento hip-hop di tutti i tempi.

Deceduto per complicazioni legate al diabete, il 22 marzo scorso, Phife Dawg – insieme a Q-Tip e Ali Shaheed Muhammad – era l’anima degli A Tribe Called Quest, tra i più importanti gruppi che si siano mai dedicati all’arte dell’MCing, autori di almeno tre album che hanno certamente definito i contorni del cosiddetto “rap alternativo”, prima che questo termine assumesse connotati, purtroppo, anche negativi.

Gli album di cui parliamo sono, nell’ordine: “People’s Instinctive Travels and the Paths of Rhytm” (1990), l’incredibile “The Low End Theory” (1991) e l’altrettanto eccezionale “Midnight Marauders” (1993), capolavori che fondono le capacità liriche dei tre ragazzi con basi (quasi sempre autoprodotte, tranne sporadici aiuti da parte di Skeff Anselm e Large Professor) dal sapore fortemente jazz, secondo una consequenzialità prima culturale e poi artistica che, nel panorama odierno, sembra essersi dissolta quasi nella sua interezza.

Gli A Tribe Called Quest, in effetti, furono tra i primi – insieme ai Jungle Brothers e ai beat prodotti da DJ Premier sui long playing dei Gang Starr – a concentrarsi sul repertorio jazzistico dei quarant’anni precedenti per concepire i propri prodotti, seguendo un po’ la via tracciata (in maniera assai pomposa) dai Run-D.M.C., che per tutta la prima metà della loro carriera (almeno fino a “Tougher Than Leather”, del 1986) s’ispirarono ad un altro elemento dello sterminato patrimonio culturale afroamericano, il rock, conoscendo fin dagli esordi un meritato successo planetario.

La parabola degli A Tribe Called Quest è stata definita da ascese e discese: il cambio generazionale che investì tanti veterani all’inizio e a metà anni ’90 ebbe come risultato il ridimensionamento delle leggende, portando alla ribalta altri interpreti che i più giovani, per una mera questione temporale, hanno avuto modo di vedere ed apprezzare più da vicino, ma si tratta di un processo evolutivo che l’arte – in tutte le sue forme, e seppur spietatamente – riserva ad ogni suo studente, affidandone la grandezza alla preziosa forza della memoria.

Ed è proprio per questo trascendentale motivo che New York – città di statura mondiale, oltre che casa natia dell’hip-hop – ha scelto di donare ad una strada il nome di Phife Dawg; un gesto, in sé, molto semplice (pensiamo solo al numero di strade presenti nella Grande Mela) ma carico di significato. E, non dimentichiamolo, tutto ciò è avvenuto in un contesto di equilibri etnici ancora pressoché medievali, resi tutt’al più traballanti dalla recente nomina alla Casa Bianca di Donald Trump (fortemente criticato, tra l’altro, dai restanti membri del gruppo di Dawg sull’ultimo, maestoso album, “We Got It from Here… Thank You 4 Your Service”), il quale sta già mettendo assieme una squadra di Governo sul cui operato in campo di coesione sociale si fanno previsioni a dir poco catastrofiche.

Quindi, se pensiamo a quanto l’americano medio di colore provi disillusione nei confronti di un paese che - dai tempi della schiavitù ad oggi - fa ancora fatica a riconoscergli il diritto di esser rispettato per il colore della sua pelle, ci è più facile immaginare cosa significhi per quello stesso uomo leggere il nome di Phife Dawg su quel cartello, nel Queens: certamente un orgoglio, e ancor di più la speranza che il progresso culturale del futuro non faccia passi indietro, ma si concretizzi anche per gli ultimi, che una voce in capitolo non l’hanno mai avuta, indipendentemente da chi sia andato a governare la nazione da Washington.

 

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).