- Categoria: Back In The Dayz
- Scritto da Klaus Bundy
Buon compleanno, Jay-Z: 47 anni, due vite
“Shawn Carter was born December 4th, weighing in at 10 pounds, 8 ounces…”. Così la madre di Jay-Z, Gloria, raccontava la nascita del figlio sulla bellissima “December 4th”, ultima traccia dell’altrettanto spettacolare “The Black Album” (2003) e figlia di un azzeccatissimo campione di “That’s How Long”, del gruppo R&B The Chi-Lites.
Oggi, quel nascituro di quasi cinque chili è diventato un multimilionario di quarantasette anni, costantemente nelle prime posizioni tra le personalità hip-hop più ricche, ed il suo avvicinarsi al mezzo secolo ci costringe inesorabilmente a tirare le somme della sua straordinaria esistenza.
Per quanto non si sia mai distinto in pubblico per prese di posizione controverse o scomode, la storia di Jay-Z sarà sempre caratterizzata da un alone di mistero, sul quale i fans di tutto il mondo hanno dibattuto senza sosta negli anni: ha davvero spacciato droga in gioventù? Fa parte della setta degli Illuminati? E’ un adoratore di Satana? I quesiti si sprecano.
Molto spesso, i personaggi più in vista del mondo dello spettacolo sono vittime di congetture e tesi complottistiche che rendono quasi banale la fervida fantasia degli sceneggiatori della Disney, ma chi è capace di decodificare come va il mondo ha imparato a riassumere questo fenomeno in una semplice equazione: più è stupefacente il successo di un individuo, più questo sarà visto come un marziano agli occhi dei comuni mortali.
Jay ha conosciuto un trionfo quasi senza pari nella storia della musica non solo grazie alle sue indiscusse capacità artistiche, ma anche per le sue fortunate intuizioni nel campo degli affari: linee di abbigliamento, champagne, squadre di pallacanestro, immobili, prodotti di bellezza e tanto altro hanno fruttato al nativo di Brooklyn un patrimonio che, aggiornato all’anno corrente, si aggira sui 610 milioni di dollari (fonte Forbes).
Un bel gruzzoletto, se pensiamo ai giorni in cui il ragazzo, all’ombra di Jaz-O prima e Big Daddy Kane dopo, faticava a trovare qualcuno che volesse investire nelle sue capacità al microfono; quei primi anni ’90 accrebbero sicuramente la sua fame, al punto da renderla cronica, impermeabile alla ribalta, fino a farlo diventare quasi uno spregiudicato colletto bianco del business, che ormai non parla più di pistole e rapine nelle sue canzoni e si limita a registrare i dischi nei rari ritagli di tempo che la sua vita da imprenditore gli permette.
Già, la musica. Nonostante il primo amore non si scordi mai, è ormai da molti anni che i sostenitori più accaniti di Jay si sono rassegnati a sporadiche fiammate, confezionate con calma e in maniera quasi svogliata, distratta: gli inevitabili ululati con cui l’anziano vate fa ancora sentire al popolo la sua autorevole presenza. Eppure, rispolverando i vecchi classici, anche un giovane fan farà fatica ad accettare l’attuale sfuggevolezza del personaggio, che tra il 1996 e il 2003 fu in grado di monopolizzare il mercato discografico (sia black che pop) a colpi di gemme immortali, prendendosi tutti gli applausi che doveva prendersi, prima di sparire dietro le quinte ed annunciare a più riprese un ritiro che – fortunatamente – non si è mai davvero concretizzato.
Gli errori, com’è ovvio per ogni essere umano, non sono mancati: il primo, forse, fu voltare le spalle al suo mentore, Jaz-O, ma ancor più discutibile fu il ricercato contrasto con Nas, all’alba del nuovo millennio, che diede successivamente vita a quella che fu senza dubbio la più clamorosa faida nella storia del rap.
E’ improbabile che i posteri finiranno per mettere in croce Jay-Z per la mossa appena citata: è vero, la provocazione partì da lui e questa verità storica non sarà cancellata, ma è come se la storia stessa avesse avuto bisogno di questo match, poiché The Notorious B.I.G. era ormai passato a miglior vita e qualcuno avrebbe pur dovuto rivendicare la corona di “King of New York”; Jay e Nas erano gli unici sulla piazza che potevano realmente ambire a quel trono, per cui ci piace pensare che la rivalità tra i due giganti della East Coast sia scoppiata per una semplice questione di successione reale, come tante se ne sono viste nel corso dei secoli in ambiti geopolitici.
Un discorso a parte, invece, merita la confusione burocratica che ha accompagnato verso il collasso l’impero Roc-A-Fella. Per quanto Damon Dash non sia un personaggio facile, troppo pieno di sé e carico di un’altezzosa audacia che l’ha fatto odiare agli occhi dei più, fu lui – come si dice in gergo – a “mettere Jay-Z sulla mappa”, garantendogli la possibilità di registrare in proprio il suo album di debutto (l’impressionante “Reasonable Doubt”, uscito il 25 giugno 1996), senza dover stare ai comodi dello scettico A&R di turno.
Ed è per questo motivo che, quando nel 2004 fu annunciato che Jay si sarebbe preso la poltrona di comando della Def Jam, tramutandone la Roc-A-Fella in una succursale e tagliando fuori dagli affari Dash e Kareem “Biggs” Burke (l’altro fondatore della label), furono in tantissimi a capire che ormai l’ex MC di Bedford Stuyvesant non era più un articolato cantastorie del ghetto, ma era diventato un furbo e sfacciato uomo d’affari.
Spiegare nel dettaglio cosa accadde durante le concitate fasi dello smembramento della Roc-A-Fella richiederebbe la scrittura di un libro intero, e non ci dilungheremo sui dettagli tecnici in questa sede; tuttavia, la realtà dei fatti è che, con quel famigerato colpo di coda, Jay-Z mandò un messaggio al mondo dell’entertainment, chiaro e forte: è finita l’epoca dei rapper squattrinati e malvestiti, ora ci si prende tutta la torta.
In questo senso, a ben vedere, si può affermare che il nostro sia stato un precursore: anche se non fu di certo il primo artista a possedere una propria rete d’imprese, fu certamente il primo ad eccellere in entrambi i settori, bypassando il già lucrativo universo musicale per giocarsi la partita su campi a lui teoricamente sconosciuti.
Già altre personalità hip-hop, come Diddy e Master P, avevano trovato terreno fertile nei business più disparati, ma nessuno era stato in grado di vendere lo stesso numero di dischi di Jay-Z: fino a quel momento, il mondo dell’imprenditoria sembrava attirare quei personaggi legati alla musica che non avevano le qualità per primeggiare nel songwriting, secondo un contorto complesso mentale – di certo legato all’orgoglio - che pareva spingerli a sopperire in tal modo ad una mancanza ai loro occhi funesta; quando, però, Jay dimostrò di poter passare con disinvoltura dal microfono alla scrivania, si aprì improvvisamente un nuovo corso, che avrebbe ispirato le generazioni successive ed accusato di poco coraggio coloro che – raggiunto il successo internazionale con la propria arte - non si fossero confrontati anche con ciò che ne stava al di fuori (50 Cent, per fare un esempio, fu il primo studente di questa scuola di pensiero).
Oggi, dunque, felicemente (?) sposato con Beyoncé e padre di una bella bambina, è quantomeno inopportuno chiedersi cos’abbia ancora da dimostrare Jay-Z. Se non ci sono limiti allo sfrenato bisogno d’investire in nuovi settori il suo già cospicuo patrimonio, è anche vero che ogni suo album potrebbe essere l’ultimo, per cui tributiamogli tutti gli onori che merita e non facciamo l’errore di sottoporre le sue più recenti composizioni al giudizio della coerenza: il rapper e l’uomo si sono scissi per sempre, ed il primo non rispecchia più fedelmente pensieri e stati d’animo del secondo.