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  • Categoria: Back In The Dayz
  • Scritto da Klaus Bundy

Dal garveysmo ai ghetti: nascita di un’ideologia

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In principio, fu l’orgoglio represso del popolo nero.

Nella prima metà del novecento, i secoli bui dello schiavismo e del colonialismo africano avevano ormai creato una metastasi sociale che i loro eredi – mentre il mondo assisteva al progresso industriale e poneva le basi per gli equilibri contemporanei – non potevano più ignorare.

Il primo passo verso quell’autodeterminazione che sarebbe stata il motore della cultura Hip-Hop fu probabilmente l’opera sociale di Marcus Garvey, che negli anni venti avrebbe avuto un grande seguito, grazie alle sue teorie panafricaniste, in contrapposizione con la crescente e brutale forza razzista costituita dal Ku Klux Klan.

Mentre il KKK poteva contare su influenti esponenti che sedevano nel Senato americano, il garveysmo trovò appoggio tra le classi operaie, anche se il suo messaggio di rinascita antropologica sarebbe presto andato a cozzare con il realismo di buona parte dei suoi stessi sostenitori, che finirono per vedere in Garvey un aizzatore dagli ideali utopistici.

Negli anni cinquanta, gli Stati Uniti si trovarono di fronte alle possibilità economiche offerte dalla ricostruzione europea dopo i disastri del secondo conflitto mondiale, e l’impressione generale – già allora, e nonostante l’Unione Sovietica – era che l’influenza di colore capitalistico perpetrato degli americani si sarebbe presto imposto sul vecchio continente.

Questa nuova sorta di “corsa all’oro”, tuttavia, non sembrò toccare lo strato afroamericano della popolazione, la cui condizione a dir poco orrenda non sembrava affatto in sintonia con quanto la costituzione e lo stesso inno del paese declamavano con vigore; nonostante lo schiavismo fosse stato ufficialmente abolito cent’anni prima, i neri restavano una fazione virtualmente senza diritti, soffocati da leggi arcaiche che vedevano i bianchi ancora nelle vesti di “padroni”.

La storia non poteva continuare a ripetersi sotto le stessi vesti. Non più.

Quando a Montgomery (Alabama), il 1° dicembre 1955, Rosa Parks venne arrestata per essersi rifiutata di aver lasciato il proprio posto sull’autobus ad un passeggero caucasico, la miccia fu definitivamente innescata: il giovane pastore Martin Luther King, Jr. approfittò dell’ennesima umiliazione patita dalla sua gente per lanciare una campagna di protesta pacifica, nei confronti di un’autorità consenziente e cieca di fronte alla necessità di una rivoluzione culturale, ancor prima che legislativa.

Per quanto il reverendo King, partendo dal profondo e bigotto sud, fosse riuscito a smuovere enormemente le coscienze di milioni di persone, alcune potenti (trovò un alleato in John F. Kennedy, anche se probabilmente quest’ultimo si mostrò sensibile alla causa nera solo per ottenerne un vantaggio elettorale), il suo innato senso per la diplomazia ed il pacifismo gandhiano finirono per rendere la sua battaglia stagnante, e le sue conquiste – prima del tragico assassinio, nel 1968 – si fermarono al Lincoln Memorial di Washington, nel giorno in cui pronunciò il suo grandioso discorso, “I have a dream”.

Malcolm X era tutt’altro personaggio.

Nato nel 1925 ad Omaha (Nebraska), e cresciuto all’ombra del mito incarnato da Marcus Garvey, X risultò essere molto più magnetico ed intrigante presso la sua gente, che vedeva in King un personaggio fondamentalmente debole, votato al sogno di un mondo eccessivamente astratto e soprattutto troppo disponibile a collaborare con gli “aguzzini”.

Malcolm rappresentava la vendetta: prima tra le file della Nation Of Islam (NOI) e poi nelle vesti di musulmano ortodosso, il predicatore venuto dal cuore degli Stati Uniti incarnava tutta la frustrazione e la rabbia per la disparità razziale, e fu la sua figura – più di qualunque altra – a porre le basi per l’ideologia Hip-Hop.

Quando Malcolm X fu assassinato da alcuni membri della NOI, nel febbraio del 1965, i neri sentirono la necessità di dar vita ad un’organizzazione di autodifesa: sempre più diffidenti dall’efficacia oratoria di King (che aveva ancora tre anni di vita davanti a sé), ecco che l’America dovette fare i conti con il Black Panther Party.

Il BBP era una vera e propria organizzazione paramilitare, strutturata in modo da funzionare come una sorta di “stato nello stato”: i suoi soldati erano votati alla difesa del popolo e, se attaccati, non esitavano a mostrare i denti, mentre le menti più brillanti (tra cui è spesso menzionata la madre di Tupac, Afeni Shakur) tenevano comizi in ogni angolo del paese.

Le Pantere Nere, sulle orme della filosofia del compianto X, iniziarono a dar fastidio, e ben presto la Casa Bianca (alla quale, nel frattempo, aveva preso posto Richard Nixon) sguinzagliò l’F.B.I. di Edgar J. Hoover per occuparsi del problema.

Malgrado, a causa di conflitti interni, il Black Panther Party finì per implodere e perse il suo peso politico, un ulteriore tassello era stato aggiunto al patrimonio storico della popolazione afroamericana, la quale poteva ormai contare su solide premesse per continuare la sua lotta alla segregazione.

Intanto, nelle strade desolate di quei quartieri newyorkesi che un tempo rappresentavano il preambolo urbano del sogno americano, i neri meno abbienti (ed erano la maggioranza) non poterono far altro che vedere i bianchi far le valigie e spostarsi altrove (fenomeno storicamente conosciuto come “white flight”), nel bel mezzo di una spaventosa crisi economica: l’America di Nixon, infatti, si trovava incagliata nella sanguinosa guerra del Vietnam, e la perdita di competitività dell’industria a stelle e strisce dovette essere tamponata con una svalutazione monetaria che mise sul lastrico milioni di rappresentati della middle class americana; il conseguente fallimento di innumerevoli stabilimenti industriali e fabbriche di vario genere svuotò diverse zone del Bronx, di Brooklyn e del Queens, che finirono per trasformarsi in quei “ghetti” – deliberatamente ignorati dalle forze dell’ordine – che divennero motivo d’orgoglio comunitario per coloro che li abitavano.

I pomeriggi sotto il cocente sole della costa atlantica erano lunghi e vuoti, finché la comunità locale scelse la strada della solidarietà, e fu allora che subentrò la musica…

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).