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- Scritto da Klaus Bundy
La genesi dei Crips e dei Bloods (1° parte)
Chi sostiene che il fenomeno dei Crips e dei Bloods, in America, sia soltanto un’espressione della natura selvaggia e spietata dell’uomo, percorre un binario di decodificazione assolutamente sbagliato, troppo semplicistico e fuorviante.
La musica ed il cinema hanno attinto a questo argomento per decenni, ormai, e la cultura hip-hop ne ha fatto, in particolare, un vero e proprio simbolo, poiché legata alle medesime premesse storiche e sociali che hanno permesso la nascita delle due famigerate formazioni.
Come per il discorso legato alla genesi del movimento hip-hop, anche il parto dei Crips e dei Bloods ha avuto una complessa gestazione, senza la quale – potremmo lecitamente dire – l’hip-hop stesso non avrebbe mai potuto farsi strada nella storia dell’ultimo mezzo secolo.
Alla base, troviamo di sicuro il problema della segregazione razziale: se gli Stati Uniti non fossero stati fondati sullo sfruttamento della popolazione africana – che poi diede vita al ceppo afroamericano – non si sarebbe mai posto il problema del riconoscimento dei diritti civili per quest’ultima, estirpata dalla sua terra d’origine e trapiantata con la forza in un contesto che, addirittura oggi, la vede in una posizione di degradante svantaggio nei confronti della fazione caucasica. Nello specifico, fu la rivolta nel quartiere di Watts (Los Angeles), nel 1965, a dare quella spinta decisiva affinché un’intera generazione di giovani neri, stanchi dell’oppressione e della noncuranza dello Stato nei loro confronti, si convincesse a gettarsi tra le braccia delle gang, la vera scintilla che fece bruciare il primo fuoco dei Crips.
Un’altra ragione di fondamentale importanza, legata a quella appena citata, fu l’azione predicatoria portata avanti da Malcolm X e dal Black Panther Party.
Con la sua retorica pacifista e l’apertura al confronto con l’ordine costituito, Martin Luther King, Jr. non poteva più presentarsi al suo popolo come l’emblema dell’emancipazione: già immediatamente dopo il famoso discorso di Washington - “I have a dream” - l’apparente ventata di freschezza incarnata da King poteva considerarsi conclusa. Se, dal boicottaggio dei bus di Montgomery alla conquista di Atlanta, il pastore aveva ottenuto incredibili vittorie, si può affermare che il sistema, una volta accortosi del potere che quell’uomo dai modi garbati stava acquisendo, fu in grado di appiattirlo, fare della sua causa una semplice ramanzina ristagnante e confinarlo in un pericoloso stallo che, infatti, finì per isolarlo e costargli la vita.
Malcolm X, però, era tutt’altra cosa: svestiti i panni dell’aggressivo soldato al servizio della Nation of Islam ed abbandonati gli stereotipi del “bianco demonio”, il nativo di Omaha aveva scelto la strada del dialogo, pur conservando lo spirito guerriero che possedeva di natura e che lo avrebbe accompagnato fino al giorno della sua tragica morte. X, nell’ultima parte della sua vita, non predicava più l’improbabile ritorno di tutti gli afroamericani nella lontana madrepatria, l’Africa, preferendo combattere sul suolo americano la battaglia dell’integrazione, visto più come un sacrosanto diritto piuttosto che come semplice concessione.
Il suo atteggiamento duro, spavaldo e sicuro di sé fece credere a tanti neri che, al contrario dei toni pacati e gandhiani professati da MLK, sarebbe stato necessario essere pronti ad armarsi e prendersi i propri diritti con la forza, come Malcolm non esitava a dichiarare nel corso dei suoi sermoni.
Alla figura di Malcolm X, poi, è subito associata quella del Black Panther Party: morto il primo, gli animi si accesero fino a sfociare nella violenza, e fu allora che divenne chiara la necessità di costituire un organo paramilitare che, con o senza l’aiuto del Governo USA, si sarebbe preso cura degli interessi e dei bisogni degli afroamericani.
Il BPP era guidato da teste illuminate, vecchi saggi nel corpo di giovani ragazzi, la maggior parte dei quali uccisi o sbattuti in galera nel momento in cui le autorità (l’FBI, in primis, ed il suo controverso capo, J. Edgar Hoover) si resero conto che stavano ottenendo troppo potere e consenso popolare.
Il tramonto delle Pantere Nere fu un autentico “capolavoro” dell’amministrazione di Richard Nixon, che riuscì a creare falle interne e sopprimere - com’è stato appena detto, con sangue e manganello – il cuore pulsante del movimento, senza farlo scomparire del tutto ma rendendolo, di fatto, innocuo.
Raymond Washington, il fondatore dei Crips, era un discepolo del pensiero politico del BPP e avrebbe anche voluto farne parte; il suo idolo indiscusso era Alprentice “Bunchy” Carter, un ex gangster, che era diventato nel giro di poco tempo il più potente capitano delle Pantere Nere sulla West Coast, ucciso nel 1969 in circostanze poco chiare, a soli 26 anni.
Washington, a fine anni ’60, era poco più di un ragazzino, e aveva deciso di fondare i Crips proprio dopo i già citati tumulti di Watts, dopo aver militato in un’altra banda di strada, chiamata Baby Avenues.
Il vestiario dei Crips di Washington – dei quali non è chiara l’origine del nome – era effettivamente un vero e proprio tributo al Black Panther Party: occhiali da sole, giacche di pelle, pantaloni khaki, un guanto alla mano sinistra ed un bastone da passeggio, questi ultimi due intesi come simboli distintivi per i membri dell’organizzazione.
In origine, paradossalmente, l’intento dei Crips era quello di proteggere i quartieri limitrofi di Los Angeles dalla violenza dilagante dei primi anni ’70, quando l’emigrazione bianca da quelle zone aveva ormai causato la chiusura della maggior parte delle infrastrutture che fornivano i servizi di prima necessità per i cittadini, facendo diventare il vasto territorio interessato “terra di nessuno”: Compton, Watts, Long Beach, South Central e Lynwood sono soltanto alcuni dei sobborghi losangelini che si trasformarono in pericolosissimi ghetti, abbandonati anche dalle forza dell’ordine, capitanate fino al 1966 dal tremendo William Blake, razzista e particolarmente manesco.
Quando gli Eastside Crips di Raymond Washington cominciarono ad espandersi, anche il Westside ebbe la possibilità di fondare la propria divisione (o “set”), con a capo un enorme bodybuilder, chiamato Stanley “Tookie” Williams, che forse alcuni ricorderanno per essere stato giustiziato nel carcere di San Quintino, tramite iniezione letale, nel dicembre del 2005.
Nel giro di una manciata di anni, i Crips avevano fatto dell’area suburbana di LA un vero e proprio feudo, in continua espansione e sempre più potente: fu allora che alcune bande si ritrovarono in Piru Street e sancirono una solenne unione per contrastare gli uomini di Washington e Williams, attraverso la creazione dei Bloods, inferiori per numero di militanti ma ugualmente spietati nei confronti dei propri avversari…