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  • Categoria: Back In The Dayz
  • Scritto da Klaus Bundy

Colors: l'altro lato della medaglia

Colors

Tra tutte le puntate della nostra rubrica, in due occasioni ci siamo occupati della storia della cultura hip-hop filtrata attraverso gli occhi dell’arte cinematografica: il primo esempio fu “Fa’ La Cosa Giusta”, lo scandaloso film scritto, diretto ed interpretato da Spike Lee; il secondo, più recente, è stato invece “South Central”, riguardante il delicato processo di redenzione di un ex O.G. dei Crips, tratto dal libro “Crips”, appunto, del prof. Donald Bakeer.

In entrambi i casi, le pellicole che abbiamo proposto trattavano la materia dal punto di vista degli ultimi, degli emarginati, delle vittime: in poche parole, degli afroamericani.

Questa settimana, però, vogliamo presentare un titolo diverso, focalizzato sul punto di vista di quello che è ormai conosciuto come il “nemico storico” dei neri di ogni ghetto d’America: la polizia.

Colors” (1988), per la regia di Dennis Hopper (“Easy Rider”) ed impreziosito da due co-protagonisti di altissimo livello quali Sean Penn e Robert Duvall, è una storia che non troverà mai tutti d’accordo, in quanto la sua narrazione – o parte di essa, almeno – potrebbe far credere che il film voglia far passare i tutori della legge per insindacabili benefattori, in totale contrapposizione con la realtà storica ampiamente documentata negli Stati Uniti d’America.

L’azione si svolge nella Los Angeles di fine anni ’80, e più in particolare nella caldissima South Central, famigerata regione più volte evocata nei testi rap degli ultimi trent’anni, e tratta l’attività quotidiana di due poliziotti della controversa divisione C.R.A.S.H. (quella che, alcuni anni più tardi, sarebbe stata travolta dallo scandalo Rampart), un veterano (Duvall) ed un neoassunto (Penn), impegnati nell’utopistico compito di ripulire le strade dalla microcriminalità, dominate dai Crips e dai Bloods.

Per quanto non si tratti certamente di un film degno dell’attenzione dei cinefili più raffinati, il film è gradevole, non sempre scorrevole ma perlomeno curioso, poiché la morale che vuole comunicare al pubblico pare giustificare la violenza mostrata a più riprese dagli agenti - come quelli che, solo una manciata di anni dopo l’uscita del film, avrebbero pestato a sangue Rodney King – secondo un ragionamento della serie, “siamo uomini, possiamo anche commettere degli errori, ma non siamo criminali in divisa”.

Se l’intento finale del film avrebbe anche potuto proporre una rivalutazione generale della figura del poliziotto, negli anni a venire l’irrequieto LAPD fece virtualmente tutto quanto in suo potere per inimicarsi ancor di più la popolazione di colore californiana, a causa di una generale ed irragionevole espansione dei criteri di valutazione del profilo delinquenziale, unita ad un inasprimento delle pene, che avrebbe visto decine di migliaia di giovani neri schedati e considerati membri di una gang senza alcun motivo valido.

Di fronte al fallimento (o al non totale successo) dello scopo originario, il film si fa comunque apprezzare per altri fattori, come la realistica disamina delle dinamiche generazionali tra giovani e vecchi, questi ultimi più caritatevoli nei confronti di coloro che arrestano e piuttosto carichi di disillusione verso il fine ultimo del proprio lavoro, cioè quello di liberare completamente la città dalla piaga della malavita.

In qualsiasi modo lo si voglia guardare, “Colors” è un film che spinge al ragionamento, basato in sostanza sull'identificazione dei veri nemici dei poveri, che forse non sono nemmeno davvero gli sbirri, bensì chi siede al tavolo legislativo ed impone le leggi che poi questi dovranno far rispettare nelle strade di ogni città, il classico “lavoro sporco che qualcuno dovrà pur fare”; detto questo, scagionare le autorità dalle responsabilità individuali – cioè dagli eccessi di zelo, del tutto slegati dall’osservanza del manuale – sarebbe altresì sbagliato, nonché un insulto nei confronti di tutte quelle famiglie che hanno perso un parente a causa della brutalità di un qualche gendarme e ha dovuto subire l’ulteriore umiliazione di ascoltare il giudice emettere una sentenza di non colpevolezza, grazie all’oscura influenza politica del sindacato della polizia.

Considerati questi fattori, quindi, consigliamo a tutti la visione del film, magari non per godersi un capolavoro del cinema di tutti i tempi, ma per farsi un’idea del cosiddetto “lato opposto della medaglia”, respirare almeno un po’ il clima che si respirava nella tremenda L.A. negli anni dell’amministrazione repubblicana di Ronald Reagan ed affiancare le nozioni fornite dalla trama a quanto riportato nei libri di storia, traendo le dovute considerazioni.

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).