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  • Categoria: Back In The Dayz
  • Scritto da Klaus Bundy

Bow Wow e la sua visione culturale: l'esempio di un cancro da estirpare

BowBow

A volte si dà la colpa ai troppi soldi sul conto in banca, ma altre volte è semplicemente questione di poca materia grigia nella calotta cranica. Due giorni fa, il rapper/attore/presentatore televisivo Bow Wow ha sorpreso pubblico ed osservatori dichiarando, nel corso di una chat aperta con i fans su Twitter, di non essere interessato ai problemi razziali patiti dagli afroamericani – tornati alla ribalta dopo gli omicidi Sterling e Castile – citando come motivazione la frase “non sono nero, sono meticcio” e rincarando successivamente la dose con la successiva “la gente vuole che io combatta il potere, ma non m’interessa, non sono fatto così”.

Partendo dal presupposto che la genetica non esclude, nel caso dei soggetti cosiddetti “mixed”, l’appartenenza ad un ceppo in favore di un altro (pur valutando correttamente ogni percentuale d’ereditarietà), è riprovevole pretendere di essere riconosciuti come parte integrante ed attiva della scena hip-hop statunitense, quando i princìpi fondamentali di quest’ultima affondano le proprie radici nella lotta per i diritti civili ed il difficile rapporto della fazione di colore con la società suprematista bianca.

Qualcuno potrebbe anche asserire che, a ben vedere, le aspettative nei confronti di un personaggio come Bow Wow – i cui traguardi in carriera sono direttamente proporzionali alla sua saggezza – non dovrebbero essere poi così alti, ma quando un signorotto (non chiamatelo artista, per carità) con un grande pubblico si lascia andare a dichiarazioni di un certo tipo con demente leggerezza, è dovere di ogni commentatore valutare il grado di gravità delle parole, le quali spesso causano più danni di mille azioni.

Le deliranti dichiarazioni di Bow Wow sono arrivate dopo che un fan – certamente armato di maggior buonsenso e dignità – gli aveva fatto notare che la rinuncia al voto (alla quale il nostro si era appellato, rispondendo ad una precedente domanda relativa a chi avrebbe sostenuto il prossimo novembre, dovendo scegliere per l’elezione alla Casa Bianca tra Hillary Clinton e Donald Trump) va palesemente contro tutto ciò per cui i suoi antenati avevano lottato fino alla metà degli anni ’60, quando il presidente Lyndon B. Johnson si decise a firmare lo storico “Voting Right Act of 1965”, il quale diede finalmente peso elettorale ai discendenti degli ex schiavi africani.

E’ stato allora che Bow Wow, come si dice in gergo, ha “tirato fuori il coniglio dal cilindro”, presentando sul banco la spiegazione più insensata che potesse concepire, forse ignaro del fatto che, all’epoca delle battaglie per i diritti civili, moltissimi sostenitori della desegregazione fossero addirittura caucasici, spinti a marciare al fianco dei loro fratelli neri non per l’ottenimento di benefici che li riguardavano direttamente, bensì per la semplice (ma sacrosanta) costruzione di una migliore società nella quale vivere, libera da pregiudizi e fondata sul concetto inviolabile di uguaglianza.

Che poi il “sogno” (sostantivo non utilizzato a caso) sia in buona parte fallito a causa del complesso impianto culturale che ancora costituisce – purtroppo – il pensiero di una consistente fetta della popolazione a stelle e strisce è insindacabile, ma senza la perseveranza e la determinazione ad evolvere l’attuale stato delle cose, lo stesso Bow Wow non avrebbe avuto nemmeno la possibilità di scegliere se recarsi alle urne o meno, dal momento che, nell’America del reverendo King, il ragazzo sarebbe stato considerato alla stregua di un qualsiasi “negro”.

Molto spesso, nei vari appuntamenti della nostra rubrica, ci capita di riflettere sulla perdita di valori che, in questi tempi più che mai, sta colpendo il movimento hip-hop, ormai ostaggio del mito dell’intrattenimento beato e non più vicino alle comunità, reo quindi di aver tradito quelle virtù che ne hanno permesso la nascita e la trionfale diffusione nel giro degli ultimi quarant’anni.

Forse molti non hanno ancora collegato concettualmente i fenomeni, ma è interessante notare come l’affievolirsi del valore politico e sociale dei testi rap di oggi corrisponda all’incremento di affermazioni scellerate degli addetti ai lavori come quella di Bow Wow che oggi testimoniamo, contro ogni logica ed espressione lampante di un cinico menefreghismo; una freddezza ideologica che volta le spalle all’incredibile potenziale della popolarità e dello strumento artistico, capace di rendere le parole di una star molto più efficaci di quelle pronunciate con enfasi dal politico di turno, a qualsiasi latitudine.

Certo, potremmo anche far finta di niente, lasciar cadere il linciaggio mediatico ed archiviare il tutto con un amichevole “so’ ragazzi”, ma che senso avrebbe? Se tutti noi amiamo questa cultura, ci ritroviamo nel suo credo e vogliamo che essa non sia trasformata in un parco giochi per giovani ipodotati, sfamati dall’universo pop e quindi annoiati, la feroce critica è il minimo a cui siamo chiamati. L’idea secondo cui “se qualcosa non ti piace, allora non perdere tempo a parlarne” dev’essere rigettata con forza, perché è solo attraverso la condanna pubblica che saremo in grado di emarginare le mele marce e, magari, accrescere le loro inibizioni prima di sparare mostruosità a furor d’ignoranza.

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).