- Categoria: Back In The Dayz
- Scritto da Klaus Bundy
Indovina chi viene a cena?, un'illuminata (ed attuale) opera cinematografica
Correva l’anno 1967, e gli Stati Uniti d’America si trovavano nel bel mezzo di un’epocale rivoluzione sociale: la disapprovazione popolare per la sciagurata guerra del Vietnam cresceva inarrestabile, il movimento hyppie stava trovando un sempre maggior consenso, le donne invocavano la parità di diritti e la fazione afroamericana aveva da poco detto addio al sogno di Martin Luther King, Jr., la cui morte aveva comunque lasciato un fermento nell’anima che i suoi seguaci erano pronti a trasformare in feroce insurrezione.
In questo clima di tensione ed incertezza sul futuro, l’industria cinematografica non poté che adattarsi e proporre una realtà alternativa, efficace, che mostrasse a tutti quali equilibri ideali avrebbero potuto fare breccia sotto la presidenza di Lyndon B. Johnson, successore alla Casa Bianca dello sventurato John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas nel novembre di quattro anni prima.
La musica ritraeva i contorni del periodo attraverso le opere di Jim Morrison, Jimi Hendrix e Janis Joplin, simboli del disagio e della voglia di libertà dei giovani, mentre i britannici Beatles approcciavano il contesto storico in maniera più impersonale, con quel “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” che catturò forse meglio di ogni altro long playing le melodie che risuonavano nei cuori dei figli dei fiori e della New Left a stelle e strisce.
A Hollywood, nel frattempo, stava vedendo la luce un film fondamentale, destinato ad entrare in tutte le classifiche stilate per raccogliere le più belle pellicole di tutti i tempi, incentrato sul problema razziale che si era sollevato nel Nuovo Mondo sin dai tempi dello sciopero degli autobus di Montgomery; il film s’intitolava “Indovina chi viene a cena?”, e nel cast figuravano autentiche leggende della settima arte, quali Katharine Hepburn, Spencer Tracy (alla sua ultima apparizione sul grande schermo, prima della scomparsa) e l’afroamericano Sidney Poitier, che sarebbe successivamente diventato un’icona per la sua gente.
Il film parla delle vicende di una giovane ragazza di San Francisco, Joanna Drayton (interpretata da Katharine Houghton), intenzionata a sposarsi con lo stimato dottore John Prentice (Poitier), nonostante le perplessità dei suoi genitori (Hepburn e Tracy) per via del colore della pelle dell’uomo, che avrebbe potuto creare imbarazzo presso amici e conoscenti.
Mentre il padre della giovane, pur d’idee tendenzialmente liberal, provi un certo senso di conflitto per la circostanza creatasi, la madre di Joanna sembra essere più aperta all’idea di un matrimonio misto, e così la pensa anche la madre del dottor Prentice, mentre il pensiero del padre di quest’ultimo abbraccia sostanzialmente la visione del padre della futura sposa, convinto che bianchi e neri non dovrebbero mescolarsi ed ognuno dovrebbe metter su famiglia con un partner della sua stessa “razza”.
L’arcaico modo di pensare dei due padri è sostenuto sorprendentemente anche dalla donna di servizio di casa Drayton, Tilly (Isabel Sanford, "I Jefferson"), che fino all’ultimo cercherà di dissuadere l’innamorato John dall’andare fino in fondo con l’innocente Joanna, con maniere – a volte - anche piuttosto forti.
L’epilogo, tuttavia, è un autentico manifesto: il signor Drayton, riunite le due famiglie per una cena cordiale, tiene un discorso illuminato, durante il quale rivendica il diritto sacrosanto delle persone a sposarsi con chiunque vogliano, senza alcuna discriminazione, purché l’amore ed il rispetto reciproco siano sempre posti sul gradino più alto della scala delle priorità.
Il film termina così, con l’augurio più sincero che i due spasimanti possano vivere una vita prospera e felice, nel momento in cui padroni di casa ed ospiti si siedono a tavola per cenare, pronti quindi a conoscersi meglio ed intraprendere un nuovo percorso congiunto.
E’ evocativa, in particolare, la scena in cui i genitori di Joanna escono per andare a comprare il gelato, ed il signor Drayton chiede alla cameriera “il solito”, la specialità della casa, denominata “coppa speciale dell’Oregon”, di cui non ricorda il nome preciso ma che è solito consumare in quel particolare bar. Quando l’incerta cameriera ritorna con la coppa, l’anziano Drayton rimane deluso perché quello che gli è stato portato non è il gelato che aveva in mente, ma decide comunque di mangiarlo, rapito dalla squisitezza di quella novità.
La morale metaforica catturata in questa particolare scena vuole aprire gli occhi agli spettatori, magari a coloro che all’epoca erano ancora incerti sulla legittimità dei diritti dei neri nella società civile, spingendoli a riflettere sulle virtù nascoste del diverso e sull’idea di un mondo migliore, dove i bianchi possano finalmente scoprire quale immenso valore aggiunto costituisca la popolazione afroamericana per il progresso di un paese, gli Stati Uniti, che alle soglie degli anni ’70 ancora non contemplava l’idea di una indispensabile desegregazione.
Ad oggi, purtroppo, gli “strascichi” di secoli di razzismo (se vogliamo definirli tali, ma forse si tratta di una vera e propria eredità) resistono, ma la lotta per l’inversione del pensiero non deve mai finire, prendendo anche come esempio – perché no - l’insegnamento di film cruciali come “Indovina chi viene a cena?”.