- Categoria: Back In The Dayz
- Scritto da Klaus Bundy
Michel'le: una tragedia nella tragedia
Pochi giorni fa, Michel’le ha presentato il teaser del film sulla sua vita, “Surviving Compton: Dre, Suge & Me”, il quale – come suggerisce il titolo – sarà incentrato sulle controverse storie d’amore della cantante R&B con Dr. Dre e Suge Knight, avvenute a cavallo tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, storie pubblicizzate più per gli ormai conosciuti casi di violenza domestica che per l’affiatamento romantico.
Michel’le (all’anagrafe Michel’le Toussaint, nata nel quartiere losangelino di South Central, quarantacinque primavere fa) è un personaggio che non molti ricordano: voce femminile della World Class Wreckin’ Cru sul singolo “Turn Off the Lights”, datato 1987, successivamente scritturata presso la Ruthless Records di Eazy-E (su indicazione di Dr. Dre), poi ancora parte del famigerato roster della Death Row Records fino al 2003, anno in cui è scomparsa dalle scene senza particolari clamori.
La sua parabola artistica non ha mai conosciuto veri e propri picchi: gli unici due album da lei pubblicati, “Michel’le” (1989, per la Ruthless) e “Hung Jury” (1998, per la Death Row), non hanno lasciato alcun segno, e della sua travagliata vita privata si è obiettivamente parlato molto di più rispetto alla sua musica.
Fin qui, sembra soltanto la storia di una ragazza che, come si dice, “c’ha provato ma non ce l’ha fatta”, se non fosse che la nostra Michel’le è ricomparsa magicamente, quando tutti la credevano estinta, alla vigilia dell’uscita nelle sale di “Straight Outta Compton”, nel quale – tra l’altro – il suo nome non viene nemmeno menzionato.
Incalzata dai giornalisti sulla sua opinione riguardante una storia che in fondo è anche la sua, l’ex first lady della Ruthless ha messo in mostra tutto il vittimismo covato nel corso dei decenni, dichiarando di esser stata messa “volontariamente da parte” perché la sua “non è altro che la storia di una fidanzata picchiata e costretta al silenzio”. Così, mentre la pellicola riempiva le sale e sbancava i botteghini, Michel’le ha abilmente approfittato della situazione per godere di una pubblicità riflessa ed inedita, con il risultato che oggigiorno il suo nome è conosciuto più di quanto non lo fosse ai tempi in cui produceva canzoni.
Detto questo, ci sia concesso di fare una sacrosanta premessa: sia Dr. Dre che Suge Knight non sono mai stati dei convinti femministi. Nel 1991, Dre balzò agli onori della cronaca per aver picchiato selvaggiamente la giornalista Dee Barnes, “colpevole” di aver concesso una tagliente intervista ad Ice Cube, all’epoca fresco di uscita dagli N.W.A; Suge, da parte sua, è stato più volte accusato di aver messo le mani addosso alle impiegate della Death Row, nel periodo in cui la sua indole impervia andava di pari passo con un ego spropositato, dovuto principalmente all’impressionante successo della sua impresa.
Di fronte a questo tipo di comportamenti, è palese che lo sdegno sia il sentimento principe: ancora oggi, nel 2016, un elevatissimo numero di donne subisce violenza a cadenza quotidiana; nonostante gli Stati Uniti d’America non tengano un conteggio ufficiale dei femminicidi, classificando questi casi semplicemente come omicidi generici, sono mediamente millecinquecento le donne che perdono la vita in circostanze violente ogni anno sul territorio statunitense, e le analisi statistiche effettuate dal Violence Policy Center hanno rivelato che una donna corre un rischio di morire quasi quindici volte maggiore per mano di un uomo che conosce e/o con il quale condivide il tetto abitativo.
Il maltrattamento della donna, quindi, non è certo un argomento da prendere alla leggera, per carità; si tratta di una piaga diffusa e, come tale, dev’essere trattata, facendo leva prima sull’educazione e la cultura dei giovani che sulle sentenze dei tribunali.
Tuttavia, come a volte ci capita di testimoniare in tristi circostanze, il rischio che qualche individuo possa speculare sulla sensibilità dell’opinione pubblica è sempre dietro l’angolo.
Si potrebbe forse parlare di peccati di gioventù, ma ai tempi in cui Dr. Dre intraprese l’esodo che l’avrebbe portato in seno alla Death Row Records, Michel’le fu abbastanza scaltra da portare i rapporti lavorativi ad un livello prettamente personale, immedesimandosi nella vergognosa parte dell’arrivista che, purtroppo, accomuna sia le donne che un sempre crescente numero di uomini, tutti ansiosi di salire in cima alla scala sociale, a seconda delle intime ambizioni.
Non è un caso che, nel momento in cui Dr. Dre fece le valigie per andare a fondare la Aftermath Entertainment, nel 1996, la ragazza si fidanzò con il boss della Death Row, quello stesso Suge Knight che le avrebbe poi dato un’ultima occasione di farsi strada nel business musicale e scampare ad un oblio immediato che ormai tutti già scrutavano da tempo.
E’ stato grazie a questo suo saltare da una barca all’altra, avvicinandosi sentimentalmente a chi le conveniva, che Michel’le è riuscita a prolungare la sua comunque esigua carriera, ma non ci sentiamo nemmeno di metterla in croce per questa condotta, pur lontana anni luce da quello che dovrebbe essere il dignitoso modo di stare al mondo. Più che altro, è il suo essere riemersa improvvisamente dal nulla – guarda caso, proprio mentre le vicende di quel periodo sono tornate in auge – che lascia assai perplessi: se Michel’le avesse davvero avuto qualcosa di concreto da raccontare, avrebbe potuto (e dovuto) farlo subito, conscia di non correre il pericolo di ritorsioni (Dr. Dre è più potente oggi di allora, Suge Knight è caduto in disgrazia subito dopo la morte di Tupac) e di essere ascoltata con attenzione; tuttavia, fin quando le tasche hanno continuato a pesare, la nostra ha deliberatamente scelto il silenzio, e l’idea di fare un film sulla sua realtà – ad un solo anno dall’uscita della storia degli N.W.A – fa pensar male anche i meno pregiudizievoli.
Con questo, non si vuole insinuare che Michel’le si sia inventata tutto e che la sua vita al fianco dei due illustri amanti non abbia avuto ombre (le prove delle violenze, d’altronde, sono sotto gli occhi di tutti); il suo modo di gestire la testimonianza della tragedia, però, lascia trasparire più che altro una smaniosa volontà di monetizzare, se pensiamo anche che non naviga ormai nell’oro da tempo e che deve badare a due figli per i quali non riceve più gli alimenti: il figlio avuto con Dre, Marcel, ha già venticinque anni, mentre Balei, nata dalla relazione con Knight nel 2002, non riceve soldi dal padre poiché quest’ultimo - attualmente detenuto, con un’accusa che potrebbe condannarlo al carcere a vita – è riuscito solo di recente a riemergere dalla bancarotta, dopo essersi ritrovato con soli undici dollari in banca e ben centotrentasette milioni di debiti, impossibili da ripianare con i quattro milioni e mezzo di beni mobili ed immobili intestati.
I dubbi sulla buonafede di Michel’le, quindi, sono vivi e brillano di luce propria: come già fecero altre donne coinvolte nell’epopea della Death Row (Lydia Harris, ad esempio, moglie di Michael Harris, che fu il maggior investitore nella label insieme a Suge, passò da servire ai tavoli in un pub di Houston a fondare una sua etichetta discografica), anche l’ormai ex cantante R&B sembra determinata a guadagnarsi la pensione con un ultimo, accattivante giro di valzer, che insabbierà sicuramente quegli ambigui motivi che l’hanno portata ad aprir bocca con quasi trent’anni di ritardo.