- Categoria: Eyes On The Game
- Scritto da Klaus Bundy
Il mercato dei mixtape: una condanna per la buona musica
In un panorama discografico profondamente tracciato dalla crisi economica, i mixtape dovrebbero proporsi come valido strumento per tastare gli umori del pubblico e convogliare le energie dell’autore nella giusta direzione per il prodotto finito.
La realtà, purtroppo, è che il concetto di “provino” – che sta alla base del progetto del mixtape – ha finito per sfuggire di mano a tutti quegli artisti che, con tanti soldi di budget alle spalle, non possono permettersi di ricevere un feedback deludente per i loro lavori presso le major del settore.
Fino ad una decina d’anni fa, un rapper di primo piano poteva tranquillamente raggiungere il milione di copie vendute nella prima settimana di pubblicazione (parliamo del mercato statunitense, ovviamente): nel 2000, ad esempio, la RIAA arrivò al punto di dover quasi certificare doppio disco di platino “The Marshall Mathers LP” di Eminem, forte delle sue 1.7 milioni di copie vendute nei primi sette giorni. Questi numeri, ormai, non si vedono più.
La colpa di tale arresto e digressione è sicuramente da riscontrare nella diffusione dei software peer to peer per il download gratuito (ed illegale) della musica, grazie ai quali i fruitori possono godersi (addirittura in anteprima, a volte) le novità dei loro beniamini senza dover sborsare un centesimo.
Il calo delle vendite, comunque, non è l’unica causa di questa debacle: se i rappresentanti più in voga della scena pop, rock, country possono ancora contare su una strategia di marketing volta a creare l’evento, l’universo hip-hop pecca molto da questo punto di vista; molti dei rapper più popolari, infatti, si appoggiano ad una propria etichetta, e la loro unica preoccupazione si riduce ogni volta alla chiusura di un accordo di distribuzione che garantisca la comparsa dei loro prodotti sugli scaffali dei negozi. La libertà creativa data dal possedere una label va di pari passo con la disattenzione riservata all’aspetto della promozione dei progetti, che soffrono spesso l’incombenza di dover far faville nelle classifiche, nonostante l’incalcolabile numero di “assaggi” reso disponibile dall’autore.
In questo senso, dunque, i mixtape salgono di diritto sul banco degli imputati.
La verità sostanziale è che si sta perdendo il gusto di far musica: invece di considerare ogni canzone come opera d’arte a sé stante, il territorio mainstream prospera sulla quantità, costringendo ogni interprete a produrre tracce in serie che ben poco aggiungono alla reale progressione artistica; infatti, oltre a confondere i fans (i mixtape vengono spesso messi in commercio senza un’adeguata campagna pubblicitaria), questo tipo di materiale “abitua” l’orecchio del pubblico fino al punto di minarne l’entusiasmo, poiché – come detto precedentemente – l’atmosfera di attesa per le uscite ufficiali si dissolve nella confusionaria orgia di note e parole somministrate senza tregua.
Quali sono, quindi, le prospettive per il futuro?
Non potendoci aspettare cambi di rotta radicali ed improvvisi in tempi brevi, ciò che possiamo fare è tutelare noi stessi nei confronti di ciò che intendiamo ascoltare: selezioniamo quanto ci viene proposto secondo l’importanza che ricopre all’interno della discografia di ogni singolo rapper, informiamoci sulla storia che si cela dietro ogni lavoro, e solo allora valutiamo se sia il caso di prestare la nostra attenzione o meno.
Il bisogno di nuova musica è intrinseco nella natura umana, e ciò non cambierà mai, ma è importante dare ad ogni opera il valore che merita.
Save the music.