- Categoria: Eyes On The Game
- Scritto da Marco Bianchessi
Giovane Giovane, il manifesto della nuova scuola italiana
Era da un sacco di tempo che volevo scrivere qualcosa su questa canzone in cui ho visto, da quando è uscita, qualcosa di più di una semplice hit. Ho lasciato che le cose si sedimentassero fino a qualche giorno fa, in cui, dopo averla riascoltata per l’ennesima volta, mi sono deciso a prendere in mano la situazione.
Questo brano, decido di chiamarlo il manifesto della nuova scuola Italiana non a caso, ma secondo ragioni che secondo il mio personale punto di vista sono palesi.
La prima di queste sta nel titolo stesso: “Giovane Giovane” porta con se tutta la carica di novità e freschezza di cui la gioventù da sempre si fa carico, come Atlante che sulle sue spalle regge il peso del mondo, è da sempre compito dei più giovani portare una nuova ondata di leggerezza nel mondo, ancor di più in un panorama che ormai stava rischiando di diventare stantio come quello del rap. Detto così suona tutto molto poetico e molto semplice: ideali, gioventù, freschezza e leggerezza, tutto molto bello. Come ogni cosa nuova, tuttavia, non è detto che venga percepita come qualcosa di positivo e di effettivamente innovativo, anzi spesso il nuovo viene osteggiato a favore di un passato che si ritiene felice e da qui chiaramente sorgono tutte le polemiche che sono naturali in un contesto come quello del rap e in particolare del rap italiano che ha sempre ragionato per coppie di opposti, del tipo o sei Maruego o sei Kaos One, o sei la DPG o sei i Sangue Misto. Nonostante questi conflitti intellettuali che da sempre contrappongono il vero al falso (o presunto tale), questa nuova scuola di talenti si sta affermando e A) hanno molta fame B) sono estremamente consapevoli della loro forza, senza nascondersi dietro un dito. E su questo c’è ben poco da discutere.
“Sono uno dei migliori e non ci posso fare niente
E vado a caccia dei migliori e non ci posso fare niente
Giovane giovane, sono così giovane
Siamo così giovani! Giovani, giovani, giovani”
“Sono uno dei migliori e non ci posso fare niente
E vado a caccia dei migliori e non ci posso fare niente
Giovane giovane, sono così giovane
Siamo così giovani! Giovani, giovani, giovani”
Per spiegare ulteriormente il mio pensiero, che è il motivo principe per il quale sono qui a scrivere questo articolo, partirò da un’altra frase di Laioung “le minorità d’Italia hanno ridato la vita al tricolore” estratto dal brano "6000 euro". Il trittico che interpreta “Giovane Giovane” risponde perfettamente alla descrizione: Tedua e Izi, entrambi genovesi classe 1994, trasferiti a Milano alla ricerca della grande occasione per sfondare nel rap game e Laioung, classe 1992, per metà italiano e per metà della Sierra Leone, da sempre in giro per il mondo alla ricerca di opportunità per esprimersi attraverso la sua musica. Sono due situazioni evidentemente diverse se le guardiamo da un punto di vista geografico ma molto simili da un punto di vista ideologico: i ragazzi liguri rappresentano la provincia mai troppo considerata dalla grande città che si sta riprendendo un posto di primo piano; Laioung invece rappresenta i nuovi Italiani, come possono essere Ghali o Maruego, immigrati di seconda generazione che si stanno ricavando il proprio posto nella bianchissima Italia.
Partirei proprio da Laioung, colui che ci ha portato un pizzico di America (aveva in ballo un featuring con Young Thug), nella canzone è il produttore, fa il ritornello e ha anche una strofa. Una sorta di tuttofare della musica, suona, canta, rappa e produce, un one man band poliglotta (conosce italiano, inglese e francese come madrelingua). La sua presenza nella canzone oltre che per la qualità della produzione ma anche della strofa più in generale, ha un forte significato simbolico; non è chiaramente il primo straniero ad avere successo in Italia ma in lui, più che in altri, i più giovani si sono riconosciuti. Il simbolo di una cultura che tende di più verso il meticciato e dove le connessioni con altre culture e con nuovi popoli sono all’ordine del giorno, un qualcosa che nella cultura hip hop è abbastanza normale, a livello teorico, ma che praticamente non aveva mai preso queste sembianze.
"Nomade, nomade, nomade, lo sai che sono nato nomade
Si spaventavano di casa mia, mia mamma pratica stregoneria
La mia cultura è profonda, uno tsunami che t'inonda"
Si spaventavano di casa mia, mia mamma pratica stregoneria
La mia cultura è profonda, uno tsunami che t'inonda"
Izi e Tedua rappresentano l’altro lato della medaglia, la provincia, entrambi con un passato turbolento alle spalle per motivi personali e familiari, che adesso si vogliono sedere al tavolo dei grandi e dire la loro. La nuova scuola italiana che si fonda su connessioni che partono da lontano e non solo dai classici luoghi che ormai ci hanno abituato alla nascita di nuovi talenti (Milano, Roma, Napoli e Bologna).
A Izi va la prima strofa, nella quale assistiamo ad uno storytelling abbastanza classico ma molto funzionale in realtà: è un’affermazione identitaria forte e una critica verso coloro che credono che questi ragazzi siano usciti dal nulla. Non sono dei funghi che sono sbucati sotto un albero da un giorno all’altro, ma hanno un vissuto, hanno accumulato esperienze e hanno aspettative, non sono qui per fare passi indietro ma solo in avanti. Izi, come gli altri che adesso sono sotto le luci della ribalta, non nascono ieri artisticamente parlando, si parla comunque di anni di vissuto nei quali hanno fatto musica, si sono messi in contatto gli uni con gli altri, hanno creato gruppi e situazioni, fatto la gavetta e tutto ciò che ad essa è associato. Per questo ora sono qui.
"Mi ricordo di quanto il freddo pesasse, quelle notti sul tetto giù a Genova
Battevo i denti, battevo le casse, io davo il meglio di me o forse il peggio
Lo so certe volte non basta"
Battevo i denti, battevo le casse, io davo il meglio di me o forse il peggio
Lo so certe volte non basta"
A Tedua va la seconda strofa e lui è senza ombra di dubbio uno dei personaggi più discussi e discutibili di tutta questa nuova scena di rap. Bisogna partire dal presupposto che è un ragazzo che si è preso dei rischi notevoli, fare quello che fa lui come lo fa lui non è assolutamente una cosa semplice. La gestione delle rime, la questione del a tempo/fuori tempo e tutto ciò che lo hanno accompagnato, fanno parte dei rischi che si è voluto sobbarcare per poter proporre la sua arte nel modo più naturale e istintivo possibile (non nel senso di cosa fatta a caso ma nel senso positivo del termine). Un’arte che manda in crisi perchè stravolge da un punto di vista stilistico quelli che sono i canoni più elementari del rap.
"Vogliono etichettarmi
Se pur la scena non riesca ancora a capirmi
Penso che guardi i grandi quadri astratti di Kandinskij"
Giovani, giovani, sono così giovani!