- Categoria: Eyes On The Game
- Scritto da Gabriele Correnti
Don Carter. Jay-Z
Ricordo nitidamente un articolo apparso su Rolling Stones qualche tempo fa nel quale il giornalista americano Tourè stilò un reportage dopo aver passato 24h al fianco di Jay-Z nella sua New York, nella sua Brooklyn.
Era il 2005, l’America era ancora in preda alle reminescenze dell’11 settembre, Trump faceva il buffone nella WWE, Beyoncè faceva ancora parte delle Destiny’s Child e Kanye West era appena uscito con quello che poi diventerà un classico, ovvero “The Late Registration”. Ma Shawn Carter, in arte Jay-Z, era già padrone del suo destino oltre che del suo futuro. La Roc-A-Fella, storica etichetta da lui fondata, cavalcava le critiche e le classifiche di tutto il paese grazie ad artisti come Mary J. Blige e lo stesso Kanye che si imposero fermamente nel mercato discografico americano dello scorso decennio. Inoltre, la prestigiosa franchigia dell’Nba dei Brooklyn Nets lo accoglieva tra gli azionisti principali grazie ad un assegno molto cospicuo che lui stesso definì come l’assegno più piacevole della sua vita. Alle spalle poi, una discografia che, seppur in costruzione, vantava già dei dischi da lì a pochi anni sarebbero entrati di diritto tra le pietre miliari della storia della musica black.
Album come Resonable Doubt, Blueprint e The Black Album sono ancora oggi considerati come inarrivabili e, a parer mio, a ragion veduta. E il motivo principale è che la storia dell’uomo Carter e dell’artista Jay-Z vanno di pari passo con quella dell’hip-hop e, particolarmente, con quella del rap.
Senza radici l’albero cade.
Oggi che l’exploit dell’hip-hop ha raggiunto anche un paese difficile come l’Italia divenendo oggettivamente un fenomeno a diffusione totale è necessario che ci si fermi un attimo, provando a capire cosa effettivamente sia. Fortuna che il rap ha questa innata capacità di riflettere su sé stesso oltre che sul mondo circostante, così come Jay-Z ha l’innata capacità di scrivere su un beat senza il bisogno di appuntare nulla, divenendo parte integrante del disegno unico di una melodia.
Nelle ultime settimane, dopo anni di assenza, l’argomento Jay-Z è tornato ad essere caldo grazie all’uscita del suo album “4:44”, al centro di critiche e riflessioni che hanno provato a spiegare un approccio così introspettivo e intimista al progetto. Un difetto a detta di molti, un diamante a detta di pochi. Eppure, 21 anni fa, Resonable Doubt segnava irrimediabilmente un punto di non ritorno nella discografia mondiale e nello stile che amiamo definire “conscious”. Un ragazzo che, come tanti, decide di abbandonare la strada per avviare un percorso introspettivo su sé stesso e sul mondo che lo circonda, costretto a vivere con demoni interiori e segreti inesprimibili come narrano le sapienti liriche di “D’Evils” e “Regrets”, due tracce che vi faranno sorgere il dubbio sulla qualità sul 90% della musica che esce oggi, ormai divenuta calcolo e non più riflessione. Bisogna che tutto cambi affinchè tutto resti com’è, forse basta soltanto guardarsi dentro.
Il Gattopardo.
Il personaggio di Jay-Z è una figura elegante e distinta cui viene naturale cucire addosso prestigio e successo. La storia la scrive chi vince e Jay-Z ne ha scritto molti capitoli. “4:44” è ciò che possiamo interpretare come l’epilogo di questa affascinante storia, scritta con la consapevolezza e la maturità necessaria di chi ha vissuto in prima persona tutto ciò che ha narrato. Il tredicesimo album di Jay-Z, unico rapper della storia ad aver platinato ogni suo album, ma questo poco importa, è l’ultimo atto di una narrazione ciclica aperta proprio ventuno anni fa con Resonable Doubt. La discografia di Jay-Z è da interpretare come un unico grande classico della letteratura. I classici sono memorie dell’esistenza umana che rimangono immutabili nel tempo. Gli artisti ne sono autori, narratori e protagonisti.
Don Fabrizio Salina, principe protagonista del Gattopardo, è una delle figure più affascinanti della letteratura italiana e mondiale. Così come lo è quella di Jay Z nella musica.
Il Gattopardo è il ritratto di un uomo estremamente solitario. Osserva i cambiamenti che gli accadono intorno e li accetta con corrosiva ironia guidato dalla pietas nei confronti del genere umano. Non è passivo, bensì straniato dalla realtà, effetto che Brecht utilizzava per descrivere uno stile, un sentimento che non lascia mai spazio ad una lacrimosa commozione, un sentimento di nostalgia per il quale guarda al passato in memoria di tempi più fastosi dall’alto della sua esperienza di uomo e di sovrano. Sentimento nel quale si è immerso lo stesso Jay-Z in un momento in cui l’ambiente che per più di un decennio lo ha osannato come un Re è irrimediabilmente mutato, e con esso il mondo circostante.
Deus Ex-Machina.
“Giunge sempre il momento in cui dobbiamo attingere alla nostra fiamma interiore per dare un senso all’esistenza”
Adesso che il digitale ha definitivamente preso il posto dell’analogico, il cartaceo ha subito il dominio del web e la materialità ha sovrastato il sentimento, Jay-Z si trova a fare i conti con un passato cui non può più attingere per guardare al futuro. Ciò che rimane non rispecchia quanto seminato perchè si sa, il tempo non sempre ripaga le attese. Un condottiero è tale quando sa cosa è meglio per il suo regno, anche al costo di mostrare la propria vulnerabilità. Jay-Z è tornato con un disco intimo, introspettivo, coraggioso nel quale troviamo il sentimento di un uomo cambiato nel tempo, legato ad i suoi affetti e alle sue radici. Ne sono una dimostrazionei continui riferimentia Beyoncè e i sample utilizzati nei beat. Jay-Z non si è pentito come ha scritto qualche giornalaio, bensì ha deciso di togliere la maschera per dimostrare al mondo chi è Shawn Carter attraverso la musica, questa volta privo di scettro e corona.
La sensazione è che questa musica sia stata divorata dal mondo che ci corre dietro, che ci tiene il fiato sul collo. Senza neanche accorgersene è diventato uno strumento il cui abuso ha portato all’omologazione, il polo inverso cui si è sempre diretta. E che vada bene reinventarsi a patto che si tenga sempre a mente che il rap nasce come via di fuga da una realtà che ci sta stretta, motivo per il quale bisogna sempre rispettarlo e mai frantumarne l’identità.Jay-Z lo ha capito bene e la speranza è che, come negli anni precedenti, da figure di una caratura simile si continui ad imparare sempre e comunque. Nel bene e nel male.