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  • Categoria: Recensioni
  • Scritto da Klaus Bundy

Redman - Mudface (recensione)

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Nel corso della sua più che ventennale carriera, Redman ci ha abituati alla pubblicazione di dischi esaltanti, irriverenti, sempre in bilico su quella linea (nemmeno troppo sottile) tra rap commerciale e di nicchia; le sue sortite nel panorama musicale dei grandi palcoscenici non l’hanno mai visto completamente a suo agio (ve la ricordate “Dirrty”?), mentre è sembrato decisamente più sicuro di sé nelle vesti di attore e personaggio televisivo. Redman è così, prendere o lasciare: un personaggio difficile da catalogare, un uomo venuto dal basso che ha imparato – attraverso l’esperienza – a far della musica una professione, scindendo l’uomo dalla sua estrosa maschera. Il suo profilo basso nella vita privata sbatte violentemente contro il fenomeno da baraccone nel quale si trasforma dietro il microfono, così ben definito nelle sue sfumature da farlo apparire credibile agli occhi (e alle orecchie, soprattutto) del pubblico.

Mudface”, uscito settimana scorsa, s’inquadra come il prodotto ideale per l’ascoltatore medio di Redman: un guazzabuglio di suoni totalmente dissimili tra loro, caratterizzati da un’ammirevole vastità di influenze (che toccano il reggae ed arrivano fino alle più classiche tendenze della nuova scuola), su cui il nostro si sbizzarrisce con il suo solito stile lirico, mai troppo ricercato nei contenuti e volto al più classico e ritrito trionfo dell’autocelebrazione; se, da un lato, si può affermare che il rapper di Newark abbia riproposto quanto di meglio mostrato nel precedente “Reggie” (2010), è anche vero che l’eredità lasciata da quel lavoro non è stata rielaborata sufficientemente per poter parlare di un convincente “salto di qualità”.

Detto ciò, comunque, è bene precisare che, quando si parla di un rapper come Redman, è d’obbligo contestualizzare gli obiettivi posti in capo ad ogni nuova uscita: “Mudface” non vuole paragonarsi a capostipiti del calibro di “My Beautiful Dark Twisted Fantasy”, né flirtare con la spudorata sete d’attenzione di “Nothing Was the Same”; questa nuova creatura si pone come unico scopo quello di permettere all’autore di destreggiarsi nel suo ambiente, senza la pressione derivante dal dover dimostrare qualcosa.

Nel presente di Redman, dunque, c’è semplicemente questo: musica orecchiabile e coinvolgente, che non richiama l’attenzione se non viene prestata, ma pur sempre rispettabile, soprattutto se consideriamo che – in stretti termini di simmetria tra musica rap e cultura hip-hop – “Mudface” si colloca ben al di sopra rispetto la maggior parte dei dischi che occupano attualmente i primi posti della classifica Billboard. Quest’ultimo, in effetti, dovrebbe essere il messaggio racchiuso nella bizzarria della voce e delle note di Reggie Noble: se vogliamo trovare un’alternativa per i nostalgici del cosiddetto “rap fatto bene” dei tempi che furono, la novità discografica che stiamo presentando si propone come piccolo piedistallo al quale aggrapparsi.

Redman non avrà l’influenza che oggi esercita sulle masse Kanye West, e “Mudface” non sarà il diretto erede di “Ready to Die”, ma – in attesa di tempi migliori – ci affidiamo senza remore allo smalto dei sempreverdi veterani.

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).