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  • Categoria: Recensioni
  • Scritto da Klaus Bundy

Freddie Gibbs - Shadow of a Doubt (recensione)

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E’ soltanto il suo terzo album, e questo dato aggiunge sicuramente valore alla valutazione finale, ma “Shadow of a Doubt” continua ad inquadrare il trentatreenne Freddie Gibbs nell’ottica del rapper tecnicamente “bravo”, ma non “eccellente”. Sarà stata forse la sua militanza presso la CTE di Young Jeezy (altro artista dalle credenziali indefinite) ad aver forgiato questo suo attuale status, ma Gibbs si ostina a non fornire solidi appigli per spezzare un sufficiente numero di lance in suo favore.

Piñata”, il suo precedente lavoro, aveva conquistato gran parte della critica e del pubblico hip-hop, ma il sentimento generale, già da allora, era che al nativo di Gary mancasse quel “qualcosa” per affermarsi davvero. Questi dubbi tornano prepotentemente in “Shadow of a Doubt”, ma con un’aggravante: per quanto se ne possa certamente ben parlare sotto qualche punto di vista, pare che l’evoluzione artistica di Gibbs abbia compiuto un brutto passo indietro.

Ascoltando le canzoni proposte, si ha la sensazione di trovarsi davanti ad un personaggio determinato a fare dell’ambivalenza un suo punto di forza, mostrandosi prima sotto le vesti del temerario fuorilegge, poi sotto quelle del cantante “soft”, arrivando fino al punto di tendere la mano verso lo stile distintivo di Drake, nonostante tra i due personaggi ci sia un vero e proprio abisso d’immagine. Freddie Gibbs non è il primo a porsi con l’appena citata attitudine, ma ciò non significa che debba funzionare: è assai complicato, per chi è stato abituato alle poliedriche forme comunicative dei veterani del passato, prendere atto della questionabile naturalezza con cui molti artisti contemporanei saltano da uno stile ad un altro, senza rendersi bene conto di ciò che dovrebbe e non dovrebbe essere fatto.

La musica, isolata dal contesto al quale viene associata nelle liriche di Gibbs, non possiede particolari pecche, ed è proprio grazie ad essa che il disco guadagna profondità: le strumentali, per quanto poco ricercate e non sempre piene di colore, non si abbandonano (o, almeno, non sempre) all’eccessivo minimalismo; esse abbracciano senza ombra di dubbio la scuola stilistica attuale, ma contribuiscono a creare un’atmosfera di trance, spaziando dalle composizioni più commerciali (“Fuckin’ up the Count”, “Basketball Wives”) fino a quelle dal sapore maggiormente vintage (“Insecurities”, “Extradite”).

Il problema centrale di questo album, in realtà, è il modo in cui viene gestita la parte lirica: per quanto Freddie si sforzi di donare al suo audience un bagaglio di testi impegnati, tutto è reso vano dal suo utilizzo della voce, la quale – più volte – si limita a biascicare delle parole al limite dell’incomprensibile (“McDuck”), per non parlare poi delle molteplici sezioni in cui essa si lancia nel pretenzioso compito di armonizzare su alcuni passaggi melodici (“Careless”, “Mexico”), finendo per stroncare ogni nobile intenzione.

Il rispetto per le innegabili qualità dell’artista non è minato, ma ci saremmo aspettati di vedere un po’ più di cuore. Se “Shadow of a Doubt” è stato pensato per attecchire sulla facile impressionabilità delle masse, si può credere che abbia qualche probabilità di mettere il suo autore sulla mappa; se, invece, l’intenzione è quella di conquistare nella sua interezza la comunità hip-hop (o addirittura proporsi come “game changer”), allora le speranze lasciano il posto allo sconforto.

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).