- Categoria: Recensioni
- Scritto da Matteo Da Fermo
Murubutu - L’uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti (recensione)
Quando, mesi fa, si discuteva su quanto il rap potesse esser o meno una branca del cantautorato, i nomi che venivano fatti per argomentare ciò erano, tra gli altri, quelli di Ghemon, Dargen D’Amico, Rancore e lo stesso Murubutu: mai avrei pensato che tutti e quattro si sarebbero trovati nel nuovo disco di quest’ultimo. Per questo motivo, appena ho avuto modo di leggere la tracklist dell'album (pubblicato per Irma/Mandibola Records), ho subito pensato che potesse essere già considerato un “instant classic”.
Ascoltando poi il lavoro questa mia sensazione è stata confermata ampiamente. Ma andiamo con ordine. Il 14 ottobre è uscito "L'uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti", il quarto disco di Murubutu nonché il secondo concept album del rapper emiliano. Infatti come suggerisce il titolo, è proprio il vento la chiave di lettura di tutto il lavoro.
Quello che per alcuni è un “semplice” agente atmosferico è stato abilmente usato da Murubutu come medium narrativo per raccontare storie, quelle storie che ormai sono il “marchio di fabbrica” dell’artista. Racconti che sono a loro volta dei mezzi per far arrivare all’ascoltatore degli insegnamenti preziosi. Nello specifico i brani narrano di fenomeni complessi come l’alfabetizzazione, la “diversabilità”, l’emarginazione, i matrimoni forzati, le spose di guerra e la patologia mentale in varie declinazioni.
Quasi tutte le storie – come negli altri dischi di Murubutu – risentono dell’influenza di autori diversi come Biamonti, Bonnefoy, Curioni, Hesse, Rigoni Stern miscelati con approfondimenti storici e racconti popolari.
La title track stessa è un tributo ad un protagonista del vento, Angelo D’Arrigo, campione di volo con il deltaplano scomparso nel 2006.
Nell’ascoltare il disco, comunque, oltre all’eccezionale abilità lirica dell'artista (unica in Italia), si nota un passo in avanti a livello musicale, un leggero distaccarsi dalle sonorità che hanno contraddistinto i precedenti album dell'artista, a favore di campionamenti più “dolci”, come nel caso di "Grecale"; ciò ha fatto sì che il prodotto finito scorra in modo più omogeneo e musicale, nel senso stretto del termine.
In questo disegno è risultato quindi fondamentale il lavoro dei produttori: XXX Fila, Il tenente, Kintsugi, Dj West e Muria hanno dato vita a produzioni con un suono classico ma mai “vecchio”. Sul fronte featuring invece troviamo La Kattiveria, Dj T-Robb, Dia, Amelivia e i già citati Dargen D’Amico, Ghemon e Rancore.
"L'uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti" è un album che soddisfa pienamente le attese. Probabilmente proprio questi ultimi tre "top player", riprendendo il discorso fatto all’inizio di questo articolo, hanno dato quel “qualcosa in più” a tale lavoro, la cosiddetta ciliegina sulla torta; sono stati altresì un espediente per evitare il rischio del "già sentito".
Infatti chi fa musica sa benissimo che all'aumentare dei dischi pubblicati successivamente al primo, aumenta anche la difficoltà nel realizzarli. Questo avviene perchè ampliando il numero di dischi editi cresce anche il rischio di ripetersi liricamente e musicalmente, senza contare che l’aumento della visibilità comporta potenziali critiche. Murubutu invece è stato abile nell’aspettare molto tempo prima di pubblicare questo disco, per trovare i beat giusti, le storie giuste e i featuring giusti: con il senno di poi non possiamo che giudicare questa scelta in modo più che positivo.
In conclusione, tenendo presente che l’età media degli ascoltatori rap italiani è abbastanza bassa, è evidente quanto sia davvero importante il lavoro di un artista del genere. In un’epoca nella quale nessuno legge più c’è bisogno di qualcuno che accenda la scintilla della cultura delle nuove leve della nostra nazione con nuovi strumenti. Non è infatti necessariamente vero che i nostri giovani non siano affamati di cultura, e il “successo” di Murubutu – e anche, perché no, del rap in generale - lo testimonia. C’è solo bisogno di cambiare il punto di vista. Questo disco, nel suo “piccolo”, può essere un inizio.