- Categoria: Eyes On The Game
- Scritto da Klaus Bundy
La classifica dei 10 rapper migliori della storia: dove sbaglia Billboard
La scorsa settimana, il magazine Billboard ha pubblicato sul proprio sito la classifica dei “10 migliori rapper di tutti i tempi”.
Nella premessa che introduce l’elenco, gli autori – Steven J. Horovitz e Alex Gale – hanno voluto mettere in chiaro secondo quale metro di giudizio dovrebbe essere letta la loro iniziativa: catalogare i più brillanti esponenti del panorama hip-hop a stelle e strisce per capacità liriche; detto in parole povere, Horovitz e Gale non hanno fatto altro che stilare una classifica dei più illuminati “creatori di rime”, lasciando da parte ogni considerazione artistica più ampia.
Tuttavia, nonostante l’introduzione chiarificatrice, la classifica proposta si compone di nomi che hanno fatto storcere il naso agli esperti del settore, data l’inclusione di rappresentati della scena che – pur distinguendosi dietro il microfono – non avrebbero dovuto farne parte.
E’ difficile, in effetti, capire il perché della comparsa – alla posizione numero 7 – del nome di Lauryn Hill: nella spiegazione fornita dagli autori, si prende in esame lo straordinario lavoro della frontwoman dei Fugees sul suo album solista “The Miseducation of Lauryn Hill”, elogiando la sua competenza nel passare da pezzi feroci (come “Lost Ones”), ad emozionanti ballad (“Ex Factor”), dando all’intero lavoro un sapore sfaccettato e stilisticamente notevole. Pur concordando con questa recensione al volo di uno dei migliori dischi della storia del rap, è altrettanto vero che questo tipo di valutazione non ha nulla a che vedere con l’aspetto tecnico dei testi della Hill, la quale – anche se rispettabile come liricista – non ha mai raggiunto le vette dei giganti (né ha mai avuto questo tipo di ambizione).
Per quanto riguarda Kendrick Lamar (9°), ci piace pensare che la redazione di Billboard gli stia offrendo un paterno assist d’incoraggiamento, più che il rispetto per una consolidata carriera come MC di prim’ordine: Lamar, infatti, è “nato” da poco, e deve dimostrare ancora tanto. I suoi ultimi due album, “Good Kid, M.A.A.D City” e (soprattutto) l’acclamatissimo “To Pimp a Butterfly”, hanno certamente messo in luce una padronanza di mezzi non indifferente, ma non ancora al punto di riuscire a trovare spazio tra l’eccellenza senza tempo.
La presenza di Lil Wayne (10°) è quella che, probabilmente, ha sorpreso più di tutte, ed è stata immediatamente letta da alcuni critici come una chiara intenzione di Billboard di accattivarsi le simpatie di uno dei personaggi di punta dell’universo musicale (non solo hip-hop) di questi ultimi anni. Parliamoci chiaro: Lil Wayne non è un rapper malvagio. Tantissimo si può dire sulla sua musica e sulla controversa quanto eccentrica immagine che propone sul palcoscenico, ma anche i più accaniti detrattori sanno che il presidente dell’impero Young Money possiede una scioltezza lirica ed una profondità (troppo spesso nascosta) con la quale davvero pochi sono in grado di misurarsi oggigiorno; le sue rime non sono così scontate come appaiono, e la facilità con cui inventa metafore e similitudini per esprimere un determinato concetto è sicuramente encomiabile. Il problema, però, sta alla radice, e la domanda che Horovitz e Gale avrebbero dovuto farsi sarebbe stata: non c’è davvero nessun altro sopra di lui?
Se sfogliamo le pagine della storia del rap degli ultimi trent’anni, i nomi per completare la lista non mancano, tutt’altro; a maggior ragione, se questa classifica si basa esclusivamente sulla genialità sintattica degli artisti, il bacino di potenziali candidati si allarga ulteriormente. Dove sono i vari Big Pun, Kool G Rap, Big Daddy Kane e Ice Cube?
Includendo Wayne, Billboard contraddice quasi sé stessa: nella relativa spiegazione, viene sottinteso che il rapper di New Orleans merita già un posto d’onore per la sua capacità di pubblicare tanti dischi di enorme successo, con l’ulteriore merito di mostrare in ognuno di essi un’inalterata pregevolezza di contenuti; partendo dal presupposto che non tutti gli album pubblicati dal rapper nell’ultimo decennio sono stati un trionfo in termini di critica (basti pensare al tremendo flop di “Rebirth”, nel 2010, che ha deluso anche i fans), sarebbe bene rammentare ai giornalisti della rivista che il figlioccio di Birdman non ha sempre sputato fuori rime al vetriolo e, anche se lo avesse fatto con continuità, questo dato non sarebbe sufficiente per spingerlo così in alto; un veterano nell’ombra come AZ, ad esempio (qualcuno si ricorderà di lui per lo stupefacente secondo verso in “Life’s a Bitch” di “Illmatic”) non ha mai smesso di rappare in maniera squisita dai tempi di “Doe or Die” (1995), e la sua discografia ammonta attualmente a nove pubblicazioni ufficiali (non esattamente un paio…); un altro lampante esempio – se decidiamo che la quantità è davvero fondamentale - è costituito da Black Thought, presente su ben sedici pubblicazioni dei rispettatissimi The Roots, che è ancora in grado di far impallidire le giovani leve del gioco, nonostante la non più giovanissima età (44 anni). Inoltre, Wayne ha ingrossato il proprio catalogo su una quantità quasi indefinita di mixtape, alcuni dei quali nemmeno recensiti dalle principali testate del settore, per cui risulta difficile capire quanto di genuino ci sia nelle apparentemente accorate affermazioni di Horovitz e Gale.
Attraverso il suo account Instagram, anche Snoop Dogg ha espresso la sua delusione, non tanto per non essere stato inserito nella classifica, ma per la mancata nomina di Tupac. Un malumore legittimo, che ha contagiato un numero (crescente) di detrattori.