- Categoria: Eyes On The Game
- Scritto da Klaus Bundy
Martin Shkreli: quando l’ignoranza ha le tasche piene
E’ quasi motivo d’imbarazzo dover spendere parole su un personaggio tanto ricco quanto squallido, ma questa volta cercheremo di fare uno sforzo.
Martin Shkreli è recentemente balzato agli “onori” della cronaca dopo che la sua azienda ha alzato il prezzo di un farmaco fondamentale per la cura di alcune gravi malattie (come l’AIDS, la malaria ed alcuni tipi di tumore) - il Daraprim - del 5.500% (da 13.50 $ a 750 $ per compressa), e considerarlo un imprenditore è quantomeno un insulto nei confronti di chi si dedica a questo lavoro con serietà ed etica.
Il ragazzo, oltre ad essere un avido procacciatore di verdoni, pare essere anche molto interessato alla musica rap e, proprio la settimana scorsa, il Bloomberg Businessweek lo ha ufficialmente indicato come l’acquirente del misterioso (e costosissimo) “Once Upon a Time in Shaolin”, opera esclusiva firmata Wu-Tang Clan.
Nel corso di un’intervista rilasciata ieri a HipHopDX, Shkreli non ha fatto altro che mettersi alla completa berlina, dando sfoggio di tutto il più vergognoso squallore che compone la sostanza del suo personaggio: ha azzardato l’ipotesi di un debutto discografico in prima persona (no, grazie), si è definito “l’albanese più importante ad aver mai messo piede sulla Terra” (forse non ha sentito parlare di John Belushi, tanto per citarne uno a caso), interessato all’industria rap “non per una questione di soldi”, ma altrettanto svelto a dichiarare di voler pagare la cauzione per la scarcerazione di Bobby Shmurda “in cambio di un accordo commerciale”, perché – citiamo testualmente - “non faccio le cose gratuitamente”. L'encomio della contraddizione, insomma.
Basterebbero le poche righe riportate sopra per chiudere il discorso ed archiviare questo ignorante presuntuoso sullo scaffale degli individui viscidi ed inutili, ma – con i tempi che corrono – è bene chiarire con estrema cautela verso quale tipo di pericolo ci potremmo dirigere, nel funesto caso in cui allo Shkreli dovesse essere concesso anche un minimo spazio d’azione.
Leggere le sue parole già rivela una sostanziale povertà (o assenza) di stile, l’esempio più lampante di quel vecchio detto che dice che “l’abito non fa il monaco”; il signorotto, infatti, ama ricorrere alla volgarità per impostare verbalmente i propri pensieri, ed il suo errore più grave è quello di credere che ogni cosa al mondo abbia un prezzo, come se tutti gli elementi dell’universo siano assoggettati al potere d’acquisto del suo portafogli.
Il business del rap, da oltre venticinque anni a questa parte, attira serpi di ogni forma e colore; trattandosi di un campo particolarmente lucrativo, chiunque vorrebbe prendersi la propria fetta di successo, poiché il denaro, unito alla gloria dell’esposizione mediatica, fa sciogliere anche lo scudo dell’uomo più modesto.
Nel caso di Martin Shkreli, però, assistiamo ad un eccesso di vizio: quale tipo di posto potrebbe concedere l’hip-hop – una cultura che basa i propri princìpi sull’onestà intellettuale e la giustizia sociale – ad un ometto che giustifica tutte le sue spregevoli azioni nel nome del dio denaro?
Qualcuno, forse, potrebbe trovare un qualche distante parallelismo tra le intenzioni di Shkreli nei confronti di Bobby Shmurda e l’operato di Suge Knight verso Tupac Shakur, quando quest’ultimo lasciò il carcere nel settembre del ’95 per accasarsi alla Death Row Records. Ebbene, se negli anni siamo stati capaci di additare Knight come “il male assoluto”, non c’è motivo per cui non dovremmo vedere l’albanese di Brooklyn sotto la stessa luce, ma con un’aggravante non indifferente: Shkreli non sa di che cosa sta parlando.
Mentre il boss della Death Row, nonostante tutto, possedeva ancora un senso di appartenenza culturale, Martin Shkreli non è altro che un infame manipolatore, il cui unico interesse è di rendere più pesanti le proprie tasche, poco importa se a discapito di un movimento già minato dalla ribalta di soggetti a dir poco discutibili.
E’ comprensibile, pertanto, che RZA non abbia appreso con felicità la notizia che il prezioso lavoro del suo collettivo sia finito nelle mani di un essere del genere, dal momento che la vera natura di Shkreli è venuta fuori soltanto in seguito alla polemica relativa al prezzo del Daraprim; dal canto suo, tuttavia, l’albanese si è mostrato indifferente alle critiche dell’illustre membro del Wu-Tang (per non dire infastidito), giustificando le difese che RZA avrebbe dovuto prendere nei suoi confronti con la volgare scusa dei due milioni di dollari sborsati per stringere il disco del gruppo nelle sue mani. La stupida filosofia del “pago, quindi ottengo”.
Dunque, nella speranza che l’ascesa di Martin Shkreli si fermi alla superficiale analisi del suo pensiero al limite del trattamento sanitario obbligatorio, ci cingiamo a mettere in guardia il popolo hip-hop: con tutte le grottesche figure che già ospitiamo (purtroppo) nel nostro circo, non abbiamo nessun bisogno di aggiungere alla compagnia un ulteriore pagliaccio. Perché di un pagliaccio stiamo parlando.