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  • Categoria: Eyes On The Game
  • Scritto da Klaus Bundy

Lil Yachty: un altro clown nel circo

Lil_Yachty

La scena hip-hop è proprio diventata terra di nessuno. Dopo il recente rifiuto, da parte di “Sua Onniscienza” Lil Uzi Vert, di fare freestyle su un beat di DJ Premier a Hot 97, tocca ad un altro scienziato, Lil Yachty (chi?) fare la sua bella figura sul palcoscenico internazionale, avvallando la tesi di tutti coloro che considerano ormai il rap un genere in avanzata agonia.

Nel corso di un’intervista rilasciata al magazine Billboard, circa una settimana fa, il rapper di Atlanta (chissà perché la sua provenienza non ci sorprende…) ha candidamente ammesso di non poter fare il nome di cinque canzoni di Biggie o di Tupac, citando come scusante “un approccio diverso al modo di concepire l’arte, slegato da chi è venuto prima, per poter garantire migliore originalità”.

Premessa: il virgolettato appena riportato è stato raffazzonato in modo da farlo sembrare almeno lontanamente coerente, ma sia chiaro che resta una dichiarazione delirante ed indifendibile a pieno titolo. Yachty, infatti – il cui prefisso “Lil” già dà un’idea di quanto il suo spirito artistico sia pregno di novità -, deve aver poco chiara la differenza tra “studio” ed “emulazione”, un po’ come se gli studenti nelle università siano tutti destinati a seguire il percorso dei loro professori, privi di un qualsiasi tipo di ambizione professionale che li realizzi nella vita.

E’ palese che l’ex modello della collezione Yeezy Season 3 (Kanye West sarà anche un genio della musica, ma avremmo onestamente potuto consigliargli indossatori migliori) stia vergognosamente bluffando, nel disperato tentativo di nascondere un’ignoranza di fondo alla quale però, ormai, non segue più alcuna indignazione.

Come al solito, purtroppo, il ragazzo si sente legittimato dal guadagno (“if I’m doing this my way and making all this money, why should I do it how everybody says it’s supposed to be done?”), ma l’errore di valutazione è qui talmente grossolano che non serve neppure entrare nel merito; la realtà è che questo esponente del “bubble-gum trap” (Dio ce ne scampi, prima che sia troppo tardi) qualcosa ha effettivamente appreso, ma dagli insegnanti sbagliati: i suoi idoli sono infatti Lil B e Soulja Boy, due delle più grandi frodi partorite dalla scena statunitense dell’ultima decina d’anni, e forse – perché no? - di tutti i tempi.

Non per fare la parte dell’uomo vissuto, ma chi scrive ricorda con lucidità i tempi in cui un soggetto del genere non avrebbe nemmeno potuto contemplare l’idea di avvicinarsi ad un microfono; un’epoca – neanche troppo lontana, a ben vedere – in cui la dignità e l’integrità morale avevano ancora un certo peso, prima che i leggings leopardati di Lil Wayne ed il mugugnare di Future facessero tendenza presso le masse.

Se Lil Yachty fosse stato il nuovo André 3000 (di cui, paradossalmente, si considera un seguace), cioè un personaggio riluttante a recitare i cliché classici del “rapper del ghetto” ma dotato di una genialità artistica sconfinata ed unica, forse avremmo potuto – pur storcendo un po’ il naso – mandar giù certe sparate pubbliche; tuttavia, con le sue treccine rosse (pare abbia in testa una barriera corallina), la dentatura d’ottone e la verve a metà strada tra l’autistico Raymond Babbitt di “Rain Man” e Forrest Gump, il diciannovenne della Georgia non infonde fiducia nemmeno nell’aspetto, e – quando si preme ingenuamente il tasto play - si ha solo la piena conferma delle impressioni iniziali: la sua “musica” (le virgolette, qui, sono d’obbligo) ricorda i carillon per bambini, di quelli che si attaccano sopra le culle per conciliare il sonno dei fanciulli, con l’unica differenza che almeno le cantilene dei carillon sono solo strumentali, mentre quelle di Yachty ci costringono pure a sentire la sua voce, sotterrata sotto una colata sfacciata di Auto-Tune e pressoché incomprensibile (e forse, in fondo, è meglio così).

Di fronte ad un personaggio del genere, onestamente, si ha la sensazione di trovarsi vittima di uno scherzo, ma è proprio su questo punto che sopraggiunge lo strazio: il confine tra grottesco e reale è stato completamente scardinato, ed oggigiorno è pressoché impossibile individuare, tra la valanga di marionette che si succedono sulla scena, quelle che credono sul serio in quello che fanno e quelle che sarebbero anche disposte a cambiare sesso pur di far parlare di sé.

Non potendo dare una risposta, siamo costretti ad attenerci a quanto leggiamo ed ascoltiamo, ragion per cui abbiamo più di qualche buon motivo per essere pessimisti; nessuno vuole arrestare l’evoluzione stilistica dell’hip-hop, ma mettiamoci in testa che, senza lo studio del passato, non possiamo pretendere di andare da nessuna parte. E’ questo semplice concetto che qualcuno dovrebbe far presente al signorino Lil Yachty, ricordandogli che a nessun pastore – di qualsivoglia confessione – è permesso tenere sermoni senza aver prima studiato i testi sacri.

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).