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  • Categoria: Eyes On The Game
  • Scritto da Klaus Bundy

J. Cole ha ragione: cos'è successo a Kanye West?

JCole

E’ dura da ammettere, ma J. Cole ha ragione. “False Prophets”, il nuovo singolo del rapper scoperto e lanciato dalla Roc Nation di Jay-Z, non fa sconti e porta sul banco degli imputati Kanye West, accusandolo di aver perso il lume della ragione ed aver, in sostanza, venduto la propria anima in cambio di una fetta (consistente) di celebrità.

Alle orecchie di chi ascolta il brano per la prima volta, le parole di Cole possono sembrare denigranti, ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze: nonostante non si tratti certo di un’ode all’attuale marito di Kim Kardashian, la canzone pare più un deprimente focus sulla realtà dei fatti, l’accorato sfogo di un fan che sente di aver perso contatto con il proprio idolo, ed è molto probabile che, quello riportato in musica dall’artista nativo di Francoforte, non sia altro che il fedele stato d’animo dei discepoli di West della prima ora.

Per chi non ha cominciato a seguire Kanye dai tempi di “Stronger”, in effetti, è assai dura accettare il tracollo psichico di quest’uomo, un tempo considerato il profeta della nuova generazione hip-hop - quella a cavallo tra il decennio 2000-2010 -, ed oggi intrappolato nel ruolo del dandy irrequieto, la cui seppur indiscussa genialità fa meno parlare rispetto agli scandali di cui è troppo spesso protagonista.

Mi ritengo un po’ come l’uomo della strada, quello regolare che vive sempre al limite, con le rate della macchina da pagare, che crede in Dio e che arrotonda a fine mese producendo qualche rima e qualche beat”: questo era Kanye West nella lontana primavera del 2004, alla vigilia dell’uscita del suo primo album, l’acclamatissimo “The College Dropout”, e a pochi passi dal conseguente successo planetario, che l’avrebbe investito non appena la splendida “Through the Wire” fosse entrata nella rotazione quotidiana di radio e televisioni.

Fu fin da subito chiaro che West non rappresentava lo stereotipo più classico del rapper dell’epoca: con i suoi cardigan ben ricamati, gli zainetti della Louis Vuitton sulla schiena ed il suo modo di fare al contempo timido ed equilibrato, l’artista di Chicago sembrava più adatto al lezioso mondo dell’R&B, se non fosse che la sobria immagine “alla Marvin Gaye” non corrispondeva altrettanto puntualmente alle sue capacità canore.

Kanyeeze (così era solito chiamarlo Jay-Z) si era presentato sulla scena in punta di piedi, dopo oltre un decennio passato nelle maldigerite vesti di produttore, i cui potenziali traguardi non andavano forse abbastanza incontro al bisogno dell’uomo di esprimersi in maniera completa, secondo le sue regole, e fu più di una voce a suggerire che quel passaggio dalla consolle al microfono pareva forzato, reso degno di nota soltanto dal sopraffino beatmaking (fatto in casa) e dagli illustri ospiti (Ludacris, Talib Kweli, Common, Twista, Jamie Foxx, Mos Def, Freeway e, ovviamente, Jay-Z).

In realtà, le spregiudicate ambizioni avrebbero portato Kanye ad ottenere il rispetto desiderato anche in ambito lirico, e già dalla sua seconda fatica, “Late Registration” (2005), si palesò il reale valore del personaggio, capace di andare oltre l’introspezione mistica di “Jesus Walks” e di parlare anche al pubblico più spensierato, con brani come “Gold Digger“ e “Touch the Sky”, che univano comunque lo scheletro pop moderno all’anima soul e funk degli anni ’70 (le ultime due canzoni menzionate, giusto per dare l’idea, campionano Ray Charles e Curtis Mayfield).

Dev’essere stato tra l’uscita del plastico “Graduation” (2007) e l’incompreso “808s & Heartbreak” (2008) che il vecchio Kanye West finì per cedere il passo a quello nuovo, travolto da una fama tanto meritata quanto difficile da gestire.

Anche all’interno delle sue opere, l’accresciuta sicurezza nei propri mezzi (leggasi megalomania o spavalderia, che lo portò dal pregare Dio al credere di esserlo egli stesso) si riscontra nella disarmante ricerca del nostro della sperimentazione, prima attraverso i suoni elettronici di “Graduation”, che avrebbero segnato definitivamente il destino di un certo modo di fare musica rap, e poi attraverso “808s & Heartbreak”, oggi in gran parte rivalutato ma all’epoca accolto con significativa freddezza dalla comunità hip-hop, poiché troppo d’avanguardia per un pubblico non ancora pronto ad un crossover di quella portata.

Il parziale fallimento dell’esperimento “Yeezus” (2013), a conti fatti, non fu in grado di cancellare lo straripante successo di “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” (2010), un disco ancora solido nelle sue vedute rivolte al futuro ma più votato al ritorno alle radici, nel ragionevole tentativo di rimediare allo sfuggente exploit di due anni prima.

The Life of Pablo”, uscito quest’anno (a più riprese) ed ultimo, convincente tassello aggiuntosi alla sua discografia, mostra Kanye West per ciò che è oggi: un talento confuso, arrestato nelle sabbie mobili dell’intrattenimento, troppo consapevole della sua dimensione e perciò in preda al panico, tradottosi quindi nel triste epilogo del recente internamento ospedaliero.

Forse J. Cole non avrebbe dovuto includere il suo nome in una canzone che parla di “falsi profeti” e, soprattutto, non avrebbe dovuto farlo in questo particolare periodo, ma già ad inizio articolo abbiamo detto di quanto l’adorazione di un fan, se tradita, può anche rispecchiarsi in un violento attacco nei confronti dell’eroe, e l’insolenza di West ha davvero fatto alterare parecchie persone.

Cole non crede che Kanye si sia ritrovato a fare i conti con qualcosa di più grande di lui, ma sostiene che il suo problematico comportamento attuale sia il riflesso di ciò che egli è davvero, un punto sul quale è possibile dibattere ma che l’autore esprime come opinione personale:

Nobody with the balls to say something to contest him

So it grows out of control

Until the person that he truly was alla long is starting to show”.

Immaginare come la situazione si evolverà è piuttosto arduo, ma è molto verosimile che nessuna faida ci attenda all’orizzonte: Kanye West e J. Cole stanno vivendo fasi opposte delle proprie carriere, e nessuno dei due (West, in primis) possiede la pazienza simil-militaresca di portare avanti una “guerra” che non è affar loro, entrambi rappresentanti di un filone fin troppo onorevole per i parametri della fauna attuale e la cui longevità dipenderà soltanto dalla loro perspicacia artistica, non dai meri flussi di mercato.

Nel frattempo, mentre attendiamo che i lamenti per l’orgoglio ferito di J. Cole si plachino, ci auguriamo con schietta sincerità che Kanye West possa uscire dalla difficile battaglia che ha intrapreso con se stesso, possibilmente indenne.

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).