- Categoria: Eyes On The Game
- Scritto da Klaus Bundy
Diddy lancia il documentario sulla Bad Boy: quello che vogliamo e non vogliamo vedere
La scorsa notte, nel corso degli annuali Billboard Music Awards, Sean “Diddy” Combs è improvvisamente apparso sul palcoscenico e, approfittando dell’occasione per rendere omaggio a The Notorious B.I.G. nel giorno del suo quarantacinquesimo compleanno, ha lanciato il trailer di un documentario, in uscita il prossimo 25 giugno, sulla storia della sua etichetta, la Bad Boy Records.
Il titolo dell’opera, “Can’t Stop Won’t Stop: A Bad Boy Story”, sembra suggerire che sullo schermo avremo finalmente l’occasione di conoscere una vicenda entusiasmante, una delle più interessanti nella storia del business musicale dell’ultimo secolo, considerati gli ingenti capitali prodotti e la caratura di alcuni dei personaggi scoperti e lanciati.
Negli anni ’90, la Bad Boy era l’etichetta discografica che spadroneggiava sulla Costa Est, promotrice di un modo di fare affari che altri nomi del settore, nonostante l’esperienza, non avevano ancora imparato a sfruttare. La Def Jam di Russell Simmons, ad esempio, si era affacciata al nuovo decennio con timidezza, forse sazia dei successi ottenuti negli anni precedenti ma anche vittima di alcune traversie manageriali che, nel ’98, avrebbero di fatto tolto alla società la leadership dello stesso Simmons, mentre Rick Rubin si trovava già ben lontano dall’impresa che aveva contribuito a fondare.
L’esplosione del fenomeno Biggie Smalls e la notissima rivalità con la californiana Death Row Records avrebbero giocato un ruolo decisivo a consegnare la Bad Boy nelle mani del mito, ed è proprio per questo che, a distanza di quasi venticinque anni, critici e fans sono ancora così tanto desiderosi di conoscere le vicende che hanno portato la creatura di Diddy alla ribalta mondiale.
Buoni propositi, tanta carne al fuoco: sulla carta, sembra che “Can’t Stop Won’t Stop” abbia tutte le carte in regola per sbancare i botteghini, ma il pericolo di mancare il bersaglio è reale, e la nostra speranza è che questo pericolo non sia stato sottovalutato dagli addetti ai lavori in fase di produzione.
Sostanzialmente, ciò di cui il pubblico non ha bisogno è un lungo red carpet sul quale Diddy possa sfoggiare la regalità del suo personaggio con diniego della misura, secondo un atteggiamento oltremodo pomposo che nessuno ha voglia di contemplare.
Il trailer di cui abbiamo parlato prima, in effetti, non lascia ben sperare: nei pochi secondi disponibili, l’emotività hollywoodiana con cui si racconta del fatale agguato che uccise Biggie si contrappone ad interviste al boss che somigliano molto ad un infruttifero pontificare, in cui l’ex fidanzato di Jennifer Lopez non fa altro che rivangare sulla forza di volontà e l’insormontabile estro che gli hanno permesso di diventare il milionario che è oggi.
Diddy farebbe bene a ricordare che, senza la luminescenza della stella di B.I.G., la Bad Boy avrebbe perso una percentuale enorme d’importanza nell’industria discografica della sua epoca, poiché – se proprio vogliamo scavare a fondo – sono molti di più i “flop” che hanno avuto un contratto presso la label (Craig Mack, Shyne e Black Rob, per citare qualche impietoso esempio) rispetto ai “grandi artisti” (la cui lista, probabilmente, si ferma giusto al nome di Biggie).
Possiamo dunque affermare, alla luce dei fatti, che un documentario sulla Bad Boy sarebbe piacevole ed utile solo nella misura in cui esso si focalizzi sul periodo tra il 1993 ed il 1997, cioè durante gli anni in cui Diddy (allora conosciuto ancora come Puff Daddy) e The Notorious B.I.G. conquistarono e tennero saldamente in mano le briglie di un’intera scena hip-hop, costretti a fare a pugni con un antagonista molto meglio equipaggiato (la Death Row poteva contare su Dr. Dre, Snoop Dogg e Tupac) e la cui leggenda supera di gran lunga quella che ci verrà possibilmente raccontata il mese prossimo.
Il solito problema di raccontare una storia, specialmente quelle in cui ci sono vincitori e vinti, è la scelta del punto di vista; un recente esempio ne è “Straight Outta Compton”, film che avrebbe dovuto rivelare la vera storia degli N.W.A e che, invece, ha finito per essere una patetica passerella dei superstiti (Dr. Dre ed Ice Cube), mentre chi non ha potuto metter becco sulla sceneggiatura (Eazy-E, deceduto, e Suge Knight, dietro le sbarre) ha dovuto subirne il ritratto umiliante e menzognero.
Nel caso della Bad Boy, il rischio non è tanto quello di ritrarre in maniera distorta alcuni personaggi, quanto ingigantire i meriti di alcuni e, come già accennato, mettere su pellicola un capolavoro di autocelebrazione.
Diddy è stato uno dei più grandi imprenditori nella storia dell’intrattenimento contemporaneo e nessuno ha dubbi sul fatto che, qualora avesse avuto (o mai avrà) tra le mani un nuovo Biggie Smalls, sarà capace di massimizzarne il potenziale, vendendolo alle masse con l’astuzia e la tenacia di un vero genio del marketing; tuttavia, la sua carriera ha anche conosciuto tonfi di proporzioni enormi, ed il suo stesso fiuto nel riconoscere il talento ha molto spesso fatto acqua da tutte le parti, per non parlare delle numerose volte in cui lo stesso Biggie fece meglio a seguire il proprio istinto che ad ascoltare i suoi consigli.
Effettivamente, Diddy produce ad oggi la maggior parte del suo fatturato attraverso iniziative che nulla hanno a che fare con la musica, ed attualmente la sua etichetta può contare soltanto sui servizi resi da Machine Gun Kelly e French Montana; eppure, forte della sua mai placata abitudine di apparire, il mogul di Harlem è riuscito addirittura a convincere la maggior parte del pubblico che egli sia un artista musicale di spessore, un rispettabile musicista che, di tanto in tanto, si diletta anche al microfono.
In realtà, Diddy non è nulla di tutto ciò, ma ci pare assai utopistico pensare che “Can’t Stop Won’t Stop: a Bad Boy Story” lo fotograferà per il ruolo (seppur onestissimo) che davvero ricopre nello show biz, cioè quello di un ambizioso burocrate, magari anche con qualche idea brillante in testa, baciato tuttavia dalla semplice fortuna di aver incontrato sulla sua strada un giovane spacciatore di Brooklyn, che la sorte ha voluto fosse uno dei più dotati MC di tutti i tempi.