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  • Categoria: Back In The Dayz
  • Scritto da Klaus Bundy

50 Cent compie 41 anni: valutazione di una camaleontica leggenda

50_Cent

Da circa quindici anni a questa parte, il nome di Curtis “50 Cent” Jackson è legato imprescindibilmente a quel tipo di musica rap che fa da ponte tra la vecchia scuola degli anni ’90 (anche se il termine “old school” sarebbe tecnicamente da riservare al ventennio precedente) e quella del nuovo millennio, che ha visto esplodere un tipo di espressione artistica piuttosto controversa, oggi più che mai dibattuta mentre nuovi e singolari personaggi continuano ad affacciarsi sul panorama mainstream che tanto piace a chi fattura a sei o sette zeri.

In questo senso, 50 Cent è stato un lungimirante precursore, che ha saputo sfruttare le opportunità offerte dal progresso mediatico per espandere a macchia d’olio il proprio nome, al punto di creare un esercito di giovani seguaci, che poco avrebbero saputo dire riguardo alla storia del movimento hip-hop ma ai quali nessun dettaglio sarebbe sfuggito – in un ipotetico racconto - della sparatoria in cui rimase coinvolto il loro beniamino.

L’ex spacciatore del Queens ha così impresso per sempre la sua firma sulla sacra carta dell’hip-hop, e poco importano le valutazioni relative alla tecnica lirica o alla veridicità di ogni singola virgola riportata nelle canzoni: Jackson avrà sempre il merito di aver rinfrescato l’immagine del rap presso il grande pubblico, riesumando un genere che sembrava perduto per sempre – quello cosiddetto “gangsta” – e spingendo verso un approccio innovativo nei confronti del business, sulle orme dell’altrettanto camaleontico Master P.

Ciò che comunque vale la pena di sottolineare è che 50 Cent non sarà forse immune da aspre critiche, ma il suo contributo alla causa – ossia quanto è stato in grado di donare affinché l’hip-hop potesse progredire come cultura – dovrà esser sorprendentemente valutato in positivo, riservandoci quest’ultimo avverbio per sottolineare la quasi unicità della rettitudine morale del nostro, viste le barbarie perpetrate da alcuni suoi notissimi contemporanei.

Si può forse asserire che, archiviato l’entusiasmo per l’uscita di “Get Rich or Die Tryin’” (2003), 50 abbia dovuto usare strumenti alternativi per mantenere alto l’interesse sul suo personaggio, espedienti extramusicali con i quali ha cercato in qualche modo di raffazzonarsi nelle vesti d’imprenditore; già con la pubblicazione di “The Massacre” (2005), seppur la sua fama fosse ai massimi storici, il lato contenutistico dei suoi brani sembrava patire un certo vuoto, che già all’epoca portò gran parte dei critici ad affermare che l’album avrebbe tranquillamente potuto far a meno di almeno metà dei titoli presenti nella tracklist.

Certamente subentrano le soggettive questioni relative al gusto, ma è un dato di fatto che 50 Cent abbia dovuto incanalare le sue energie verso il cosiddetto “contorno” dell’essere rapper per poter sopravvivere all’incubo di ogni ambizioso autore, quello del dimenticatoio.

L’esperienza della G-Unit meriterebbe un capitolo a parte; come abbiamo già affermato in un articolo precedente della nostra rubrica, è assai triste dover testimoniare oggi quanto la crew del Generale Jackson sia stata ridimensionata rispetto ai fasti posteriori all’uscita dell’iconico “Beg for Mercy”, complici una serie di dissidi interni e l’incapacità manageriale nel vendere opportunamente il brand.

“E’ stato bello finché è durato”, potrebbe commentare qualche fiero nostalgico, ma né l’ormai quarantunenne 50 Cent né la G-Unit (riunitasi peraltro con Young Buck, dopo quasi un decennio di separazione non consensuale) hanno davvero ceduto il posto alla seppur nutrita massa di nuovi arrivati: con tutte le eccezioni derivanti dalle circostanze, 50 e i suoi continuano nella loro ricerca di un’identità che non sia datata, nella proposta di nuovi marchi, nell’invenzione di nuovi slogan, anche se – e questo è doveroso ammetterlo – la mancanza di fame sia ben visibile anche agli occhi meno attenti.

Avvicinandosi alla metà di secolo vissuta su questo pianeta in maniera a dir poco travagliata, il figliol prodigo di South Jamaica non ha forse perso la passione per il suo lavoro, ma è proprio qui che sorge il vero quesito: qual è, nel 2016, l’occupazione del signor Curtis Jackson? Da un punto di vista meramente artistico, numeri alla mano, la sua influenza sulle classifiche nazionali ed internazionali è crollata vertiginosamente rispetto ai tempi in cui fu presentato al mondo da Eminem e Dr. Dre, anche se non possiamo in tutta onestà imputargli la colpa di essere anch’egli vittima del solenne ricambio generazionale che colpisce i cantautori a qualsiasi latitudine; tuttavia, basta dare un occhio ai social network (Instagram in primis, dove è particolarmente attivo) per rendersi conto di quanto l’arte dei suoni, nonostante il proliferare d’inediti, sia ormai un impegno marginale per l’uomo che un tempo sconvolse il mondo della musica commerciale al ritmo dell’indimenticata “In da Club”.

In ultima analisi, c’è un motivo ben preciso per cui dobbiamo valutare la carriera di 50 Cent in maniera differente rispetto a quelle che sono arrivate dopo, tracciando un solco che ormai separa per ogni cultore la nuova generazione da quella precedente: nessun artista dopo 50, infatti, è mai più riuscito ad arrivare così lontano portando sul palcoscenico una storia tanto cruda quanto autentica, combinando la capacità d’intrattenere ogni tipo di audience con il racconto di un calvario umano ai limiti del verosimile. Prima di lui ci fu Eminem, e prima ancora ci furono le deprimenti (quanto lucide) cronache del ghetto riportate da Biggie in “Ready to Die”, ma nessuno dopo Jackson ha saputo fondere così efficacemente due estremi tanto distanti, senza considerare che ormai il potere della parola e della sua esposizione sta miseramente tramontando sulla scena attuale.

Sembrano così lontani i tempi in cui un giovane ed arrabbiato 50 Cent arringava le folle sulle note della straziante “Many Men (Wish Death)”, e non aspettiamoci che un’eventuale riesumazione di quella sontuosità possa passare attraverso la mano di 50 Cent stesso, perché la sua testa è altrove. Riempita la pancia, il mondo comincia ad assumere un aspetto diverso, più candido e roseo, ma non per questo dobbiamo oggi puntare il dito contro il benessere di un uomo che, meno di vent’anni fa, stava per salutare la vita terrena con nove proiettili in corpo.

50 ha fatto il suo tempo, non sarà più un modello pratico per i poveri comuni mortali, ma la sua scalata verso il paradiso (a meno che la prossima bancarotta non dovesse riportarlo tra noi) rappresenta la perfetta incarnazione dello spirito hip-hop di cui è necessario più che mai parlare con rigore simil-religioso. I veri nemici della cultura sono altri.

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).