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  • Categoria: Film
  • Scritto da Marco

The Get Down - Six and Counting!

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La seconda parte della prima stagione di "The Get Down" è stata resa disponibile al pubblico il 7 aprile, dopo il picco di audience avuto per i primi sei episodi rilasciati l’anno scorso in estate. La storia continua esattamente da dove era stata messa in pausa, cioè dal tentativo da parte di un gruppo di ragazzi del ghetto di utilizzare la musica come via d’uscita e di autorealizzazione. Se volete leggere la trama (spoiler free) potete farlo qui, così eviteremo di ripeterci.

Continuano le aperture musicali di Nas, il cui livello è assolutamente indubbio e vengono presentati nuovi personaggi storici al fine di esplicare la situazione Newyorkese dell’epoca senza lasciare nulla al caso (Afrika Bambaataa e Dj Kool Herc per esempio). La storia presenta delle scene molto coinvolgenti ma mai spinte oltre un invalicabile limite etico (provate a dire a Grandmaster Flash che la storia è oltremodo romanzata e otterrete questa reazione. È presumibilmente anche lo stesso musicista da dietro le quinte che proprio negli ultimi secondi dell’ultima puntata tiene a precisare quanto questa musica debba ai vinili e quanto, anche ai suoi albori (vedasi Sugarhill Gang), sia stata mischiata (a sua detta impropriamente) con strumenti registrati live.

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Il lavoro ha una qualità estremamente alta e nel boom di serie tv del secondo decennio degli anni duemila riesce a mantenere una propria identità ed autonomia, il che è invidiabile. Paragonato a film di questo genere, "The Get Down" viene sicuramente posizionato molto più vicino ai vari "Do The Right Thing" o "Wild Style" piuttosto che ad un "8 Mile" o "Notorious B.I.G.", non solo per le ambientazioni e i dialoghi (sarebbe un po’ troppo scontato) ma soprattutto per la tipologia di regia e per l’importanza che viene attribuita agli sguardi e ai silenzi, rari da trovare in una musica in cui sono le parole a prevalere. Parlando del capolavoro di Spike Lee non si può evitare di fare un parallelo tra i diversissimi ruoli interpretati magistralmente da Giancarlo Esposito nel 1989 e oggi, che qui mostra tutta la maturità artistica e l’esperienza incamerata in decine di film e la popolarità giustamente guadagnata attraverso "Breaking Bad".

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Il mondo musicale di Mylene parte come etremamente lontano da quello dei Get Down Brothers, ma ben presto nonostante le continue raccomandazioni di Papa Fuerte (personaggio sempre più insostituibile e ricco di sfaccettature) giunge ad un punto di contatto con esso, grazie a ciò che unisce tutte le classi sociali di NY: l’utilizzo di droghe più o meno leggere. Il razzismo rimane legato a doppio filo a tutta la storia, mentre nella prima parte per diverso tempo è onnipresente ma facente parte del contesto storico, come un’ombra che aleggia sopra tutti i personaggi, in questa seconda parte invece ha un legame diretto coi protagonisti. Viene inserito anche il tema dell’omosessualità con l’aiuto di splendide illustrazioni capaci di durare svariati minuti e di creare una bolla che ci estranea dal background di violenza di queste sei puntate. Si entra anche nel gioco delle condotte politiche e carcerarie tipiche degli USA che sfoceranno, sempre nella stessa New York, nelle surreali “Three strikes and you are out” degli anni ’80 e ‘90. Il ghetto rimane comunque il punto di partenza e per alcuni versi anche di arrivo, rappresenta sempre più un modo di essere piuttosto che un luogo dove vivere. La contrapposizione tra i circoli letterari di medio-alta borghesia legati ai college e le case “a combustione spontanea” della periferia è ancora più netta e utilizza come simbolo il colore della pelle di chi li frequenta. Come disse una volta Robert Moses, urbanista della Grande Mela morto nel 1981 e citato da Baz Luhrmann: “Brindo al costruttore che riuscirà ad eliminare i ghetti senza eliminare la gente”.

Onde evitare di svelare parti salienti della trama, ci limitiamo a dirvi che il finale è quanto mai “aperto” e ci permette di pensare con piacere che la fine di "The Get Down" è molto più lontana di quello che pensiamo... Les Inferno (e presunta cancellazione da parte di Netflix) permettendo!

 

Marco
Author: Marco
"Capisci che il rap è come una preghiera, non conta quanto urli ma conta quanto è vera" (Mistaman).