- Categoria: Eyes On The Game
- Scritto da Gabriele Correnti
Travis Scott x Kanye West. Di Vizi, di Forma Virtù.
Esordiva con questa sentenza, apparentemente vanitosa e pretenziosa, la title-track di uno degli album più significativi, ed allo stesso tempo meno compresi, del rap italiano. Stiamo parlando di Dargen D’amico ed il suo “Di Vizi, Di Forma Virtù”, espressione lirica e raffinata delle sfumature dell’essere umano.
Al giorno d’oggi, gli idoli, intesi anche in stretta relazione con la fede dell’uomo, sono stati progressivamente sostituiti e travisati con qualsiasi figura che riesca ad alleviare la solitudine e la consapevolezza che da sempre gravitano intorno ai suoi pensieri e gravano sulle sue spalle. Ciò che prima veniva volgarmente ed egoisticamente, così come tutte le forme istituzionali che blaterano di rappresentare una forma più alta di esistenza, associato alla religione in senso fisico ed iconografico, è divenuto col tempo un clichè del quale tutti ci nutriamo. Oramai il primo tratto che ci contraddistingue è il nostro idolo, ovvero chi sogniamo di diventare o di imitare. Parafrasando Fibra, vali tanto quanto vale il tuo idolo. Capitolo primo.
Il rap, oggi divenuto fenomeno di diffusione ed influenza mondiale a tutti gli effetti, è col tempo divenuto canale di sfogo e di devozione per una percentuale molto alta di persone del mondo che vivono la musica in modo intenso e personale come si trattasse di un percorso che abbiano deciso di scegliere o meglio, al quale siano destinati. Di fatti, la peculiarità maggiore cui il rap si attribuisce sin dalla sua nascita è senza alcun dubbio l’innato senso di appartenenza che coinvolge chi lo segue e, perché tutto ciò avvenga, è necessario che, così come le tradizioni religiose impongono, questo abbia una gerarchia e una storia che ne raccontino il valore, che gli diano credibilità e che lo colleghino a figure quasi mitologiche, alle quali riferirsi concettualmente ogni qual volta che se ne parla. Un po’ come Mose e Gesù per i cattolici cristiani.
Un po’ come Travis Scott e Kanye West per il rap.
Questi due personaggi, rapper, business man, chiamateli come volete hanno avuto l’enorme merito di riuscire a costruire intorno a loro un immaginario inedito dentro al quale i fan hanno scoperto un’altra dimensione in cui vedere il mondo con occhi diversi. E sia chiaro che non stiamo parlando in termini prettamente lirici e musicali per via dei quali avremmo potuto nominare molti altri nomi, forse anche più blasonati.
Quello di cui stiamo parlando in questo momento è semplicemente figlio del cambiamento che il mondo ha inconsapevolmente (o forse no?) affrontato in tutti questi anni. Così come un Oscar Wilde era in grado di scandalizzare ed attirare su di sé l’attenzione dell’intera Inghilterra, così come Baudelaire dell’intera Francia, oggi Kanye West e Travis Scott sono la massima ambizione cui il sogno moderno, in particolar modo quello americano, viene associato. E che vi piaccia o no va così. Ed è giusto che sia così.
Tornando a Dargen, nella traccia invitava nel ritornello a fare dei vizi e di forma una virtù. Travis Scott e Kanye West ci sono riusciti davvero bene e sono due gli album che descrivono tutto questo, li mettono in correlazione, e li raccontano.
Kanye West. 808’s & Heartbreak.
Partiamo dal titolo. 808 è una drum machine fondamentale per lo sviluppo e la conseguente affermazione della musica elettronica il cui fascino colpì specialmente l’ambiente hip hop, e in questo Kanye fu un precursore, per la sua capacità estremamente semplice e flessibile di produrre suoni particolarmente gravi. Peculiarità che si associa all’altro termine che dà il titolo all’album, ovvero heartbreak, cuore spezzato. Quest’album infatti è tuttora considerato dallo stesso West il top nella sua discografia poiché figlio di un periodo difficile dell’artista il quale fu sconvolto da diversi drammi quali la morte della madre e l’allontanamento dalla propria ragazza. La necessità di tirar fuori tutto questo coincise quindi con la ricerca e la sperimentazione di melodie e tecniche mai usate prima e che si discostano molto dalle sue precedenti produzioni. Kanye West fu il primo rapper ad utilizzare l’autotune, presente in tutte le tracce del disco. Parliamo del 2004. Sono passati più di 10 anni ed oggi l’autotune è la macchina creatrice di tutta la musica attualmente in giro. Bisogna aggiungere altro? Kanye West è un innovatore di linguaggi e di tecniche. Una figura unica nel panorama musicale nel senso più ampio possibile. Kanye West è il dominatore carismatico che i grandi storici di un tempo hanno teorizzato come necessario per mantenere l’equilibrio nella popolazione. D’altra parte viene però etichettato come sregolato oltre qualsiasi limite. Genio e follia.
Travis Scott. Birds in the trap sing McKnight.
Sicuramente starete pensando che la discografia di Travis Scott, oltre ad esser minima, non sia neanche paragonabile a quella di Kanye West e questa è senza dubbio una verità. Ciò che però, lo pone allo stesso livello, è ciò che il suo personaggio rappresenta per migliaia, forse milioni di fan che stravedono per lui, lo idolatrano e lo seguono con una devozione illimitata. Travis Scott ha riscritto le regole di tutta questa roba qui della quale tanto ci ostiniamo tanto ad attribuire i giusti status e le giuste etichette. Un’altra verità è che “Rodeo”, l’album d’esordio, è per certi versi superiore a quello scelto in questa circostanza. Ma è appunto la circostanza che ce lo fa scegliere. Innanzitutto è necessario chiarire cosa effettivamente rappresentano entrambi i progetti, fino ad ora gli unici ufficiali, della discografia del ragazzo di Houston. I suoi idoli (la ridondanza del termine è fortemente voluta) col quale ha inoltre avuto il piacere di collaborare sono Kid Cudi e lo stesso Kanye West. La curiosità però risiede nel fatto che la produzione e l’approccio ad entrambi gli album rispecchiano relamente la fede che Travis Scott ripone nella musica, in particolar modo in quella dei due artisti sopra-citati. Niente che abbia vedere col plagio o con la non-originalità. Qui si parla di modi di sentire la musica, sentirla dentro di sé, in modo da eliminare il confine labile tra ciò che si pensa e che si fa, rendendo il tutto semplicemente realtà. Elaborare sé stessi per trasformarsi in qualcosa di più alto. È questo quello che ha fatto Travis Scott raccontando sé stesso e la sua giovane età tramite suoni e tecniche sperimentali in Rodeo, molto vicino ad 808’s & Heartbreak. Stesso accostamento avvenuto con il suo ultimo album e con l’ultimo progetto di Kid Cudi, “Passion, Pain e Demon Slayin’", i quali pur essendo usciti a diversi mesi di distanza trovano terra comune nelle sonorità dark e nelle liriche cupe che li compongono.
Travis Scott è il fenomeno dalle centinaia di date. È il primatista per aver eseguito il maggior numero di volte, dodici, lo stesso brano in un live. È il rapper più in voga del momento, in grado di coinvolgere e di ricevere attestati di stima da parte di ascoltatori provenienti da tutto il mondo. È il ragazzo nel quale l’umanità, perlomeno quella che sta dentro questa musica, sta riponendo le sue speranze. Dove Kanye West ha già lasciato il segno, Travis Scott è pronto a ricalcarlo. Nel nome del padre, e del figlio.
"Si può dire che i vizi ci aspettino lungo il corso della vita come ospiti presso i quali bisogna successivamente sostare: dubito che l’esperienza ce li farebbe evitare se ci fosse consentito percorrere due volte lo stesso cammino."
.. E forse, entrambi, sono due facce della stessa medaglia.