- Categoria: Recensioni
- Scritto da Klaus Bundy
Ill Bill - Septagram (recensione)
Dire che l’underground sostiene l’hip-hop non è affatto un luogo comune: mentre le radio nazionali e le televisioni commerciali concentrano i propri sforzi nella sponsorizzazione di personaggi plastici e spogliati di ogni tipo di credibilità, il rap cosiddetto “sommerso” non smette di portare con orgoglio la torcia della cultura, fungendo così da autentico metronomo artistico, nella speranza (o nella certezza) che i veri appassionati non vendano l’anima al diavolo.
Il veterano Ill Bill – 43 anni, di cui 25 passati al servizio della creatura di DJ Kool Herc – fa parte di quella selezionata schiera di MC i cui prodotti, indistintamente, possono essere presi come esempio per mostrare a chi non è familiare che cosa significhi fare musica rap con dignità e passione, quest’ultima non certo per il mero ritorno economico.
“Septagram”, il quarto album in studio del fratello di Necro, risponde in pieno al bisogno che abbiamo di respirare l’aria fresca del rap autorevole, nudo e crudo, che oltre una certa soglia di popolarità sembra non esistere. Il disco, dopotutto, non avrà alcuna possibilità di ricevere elogi che non siano quelli del popolo underground, ma il suo vero merito è proprio questo, poiché l’approvazione di enti quali BET ed affini, oggigiorno, corrisponde spesso e volentieri a qualcosa da cui stare alla larga.
Le 12 tracce che compongono l’opera (per 27 minuti complessivi, pochi ma intensi) ci mostrano come il membro de La Coka Nostra non abbia perso la sua fame, condensata nell’aggressività che caratterizza tanto le rime quanto le musiche, secondo il classico stile d’impronta hardcore/horrorcore che puntualmente ritroviamo nei dischi degli affiliati al nostro, quali Jedi Mind Tricks e Mr. Hyde, giusto per fare un paio d’esempi evocativi.
Il flow di Bill si presenta, come di consueto, diverso su ogni canzone, e la sua voce alla Ghostface Killah recita secondo le esigenze con puntualità di colore, ricordandoci appunto l’intensità espressiva dell’illustre membro del Wu-Tang Clan.
Da un punto di vista dei contenuti, in tutta onestà, non assistiamo ad un concreto progresso del rapper di Brooklyn, e forse la vera pecca di questo prodotto – se dobbiamo trovargliene una – sta nel non differenziarsi particolarmente rispetto alle uscite precedenti: c’è un’avvertibile evoluzione nella ricerca del suono e, contrariamente al contributo vocale, possiamo affermare che le melodie di “Septagram”, seppur sempre e volutamente rozze, siano forse insaporite di una sottile ed inedita raffinatezza, ma non abbastanza da poter parlare di tangibile sviluppo.
Tirando le somme, comunque, stiamo ancora parlando di un buon disco, nonostante tutto ciò che si possa dire riguardo al mancato rinnovamento stilistico, e ne consigliamo l’ascolto, sottolineando quanto anche un album non esattamente impareggiabile di provenienza underground sia ad ogni modo più istruttivo rispetto al Drake di turno.