- Categoria: Recensioni
- Scritto da Mattia
Apollo Brown & O.C. - Trophies (recensione)
"Everything I make, I try to make it my favorite album of all time" (“Tutto ciò che faccio, cerco di renderlo il mio album preferito di sempre” ndr.).
Già dal suo semplice motto si può capire quanto Apollo Brown, sotto contratto con la Mello Music Group dal 2009, si differenzi dalla maggior parte dei produttori. Da fine Aprile è disponibile su Itunes in formato digitale l’album “Trophies” interamente prodotto dal beatmaker del Michigan, con l’emceeing completamente affidato al rapper O.C.
La formula del prodotto è semplice e di successo: l’ispirazione urbana anni ’90 di Apollo Brown (che spazia dal Wu-Tang Clan fino a Nas) si miscela perfettamente alla schiettezza e all’introspezione dimostrata da O.C. in ogni pezzo.
Nell’intro del disco non potrebbe essere più chiara la frase “I don’t need no goddamn trophy, or award, or recognition. I do this shit because I love to do this shit.” ( - A me non serve un maledetto trofeo, premio o riconoscimento. Io lo faccio perché amo farlo! ndr.)
L’intero album è una dichiarazione continua del profondo attaccamento dei due artisti alla cultura hip-hop, in un momento in cui sembra che tutti vogliano un qualcosa che dimostri la loro potenza o il fatto che abbiano raggiunto obiettivi importanti. Apollo e O.C. avrebbero potuto adeguarsi facilmente a questo trend, descritto come il “today’s cardinal sin, start of the end” (“il peccato capitale odierno, l’inizio della fine”ndr.) ma la decisione di dare al tutto una sfumatura densa di soul assieme al nostalgico suono delle strumentali anni ’90 non fa altro che dare spessore e diventa dura trovare anche solamente una pecca nel prodotto.
Tante, tra le 16 tracce che compongono il disco, sono degne di nota. Per citarne alcune “The Pursuit” ricorderà ai più appassionati le sonorità del duo Gang Starr, i violini e i synth di Apollo sono un tutt’uno con la struggle e alle rime di O.C. in “Anotha One” mentre i due artisti non disdegnano l’uso di un’artiglieria più pesante in “Disclaimer” e “Angels Sing”.
Con strumentali così dense da esser quasi fisiche, rime e flow importanti e mai superficiali questo album va inserito senza dubbio nella categoria “dope”.
Un vero trofeo, difficile desiderare di più.