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- Scritto da Klaus Bundy
Dr. Dre - Compton (recensione)
Se avesse ancora davvero senso collocarlo in un’ideale classifica dei migliori artisti della nostra epoca, Dr. Dre occuperebbe certamente uno tra i posti più alti. Il rivoluzionario figliol prodigo di quella Compton così ferita ed orgogliosa, raccontata nello spazio di ormai due decadi, si presenta davanti al suo pubblico per l’ultima standing ovation, a coronamento di un’irripetibile cavalcata che lo ha consegnato tra le braccia dell’immortalità già da tempo.
“Compton” è sostanzialmente l’eroico giubilo di chi sa di avercela fatta, un viaggio nella sfavillante vita del suo autore, i titoli di coda di un kolossal hollywoodiano che ha appassionato milioni di individui in tutto il mondo e di tutte le età, rapiti dall’estro di un uomo che, fin dagli albori della sua corsa, non ha mai smesso di stupire ed emozionare.
Questo disco, dunque, non vuole essere oggetto di competizione per tutti gli affamati esponenti della scena rap nordamericana; al contrario, vuole proporre all’ascoltatore una chiave di lettura quasi romantica, incentrata sull’introspezione e sulle rinnovate ambizioni del domani, ammesso che ci siano ancora sfide da affrontare per un personaggio di questa caratura.
Lo sguardo al passato, dunque, è d’obbligo: nella maggior parte delle tracce in cui fa sentire la sua potente voce, Dr. Dre non manca di accennare a quanto fatto in gioventù, al servizio di quegli N.W.A per il cui film “Straight Outta Compton” (uscito in Italia lo scorso 1° ottobre) questo capolavoro dovrebbe prestarsi ad ideale colonna sonora, anche se, onestamente, risulta parecchio difficile delimitarne la forza creativa entro i contorni di un’etichetta del genere; in effetti, “Compton” s’impone come pietra miliare a sé stante, un mosaico degli episodi più commoventi che hanno portato il Dottore a conquistare il suo straordinario successo, elevandolo ad un grado onorifico che va ben oltre il semplice epiteto di “veterano”.
In pieno ruolo di talent scout, Dre dà spazio a giovani promesse (quali King Mez ed Anderson .Paak), senza dimenticare i pupilli storici, ormai pesi massimi del business musicale e non solo (Snoop Dogg, Eminem, The Game, Kendrick Lamar), fornendo loro le sue inconfondibili produzioni, costituite da pesanti batterie e groove incalzante, il tutto in salsa West Coast.
L’appuntamento con la storia, però, è sempre dietro l’angolo: in “For the Love of Money”, addirittura, c’è spazio per l’azzeccatissimo sample dell’omonima canzone dei Bone Thugz N Harmony (sulla quale rappava anche il compianto Eazy-E), a dimostrazione che, nonostante il contratto miliardario con la Apple e la necessità di cambiare pelle per esigenze di longevità artistica, il rispetto del gigante losangelino per quello stesso Hip-Hop che anche lui ha contribuito a creare è rimasto immutato.
Il long playing, quindi, termina con la traccia probabilmente più impregnata di emotività: “Talking to My Diary” è un’appassionante tuffo nei nostalgici meandri della genesi del mito, quando le tasche erano vuote ed il futuro sembrava tutt’altro che certo; Dr. Dre invoca – quasi sotto forma di preghiera – i suoi compagni Eazy, Ice Cube, MC Ren e DJ Yella, lasciandosi andare a profonde considerazioni intime, spalancando a chiunque voglia ascoltarlo le porte del suo cuore e garantendo onestà intellettuale nell’enfasi di ogni parola.
Più che un disco, “Compton” è l’ultimo atto di una lirica senza tempo.