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- Scritto da Klaus Bundy
Dr. Dre - The Chronic (recensione)
Ci sono dischi in grado di catturare l’energia, le speranze e i dolori di un intero periodo storico: se i Beatles ritrassero con chirurgica precisione le sfumature più impercettibili dell’epoca hyppie attraverso “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club”, e “Never Mind the Bollocks” fece dei Sex Pistols i precursori del movimento punk, nessun album è mai riuscito a fotografare la California di inizio anni ’90 meglio di “The Chronic”.
Lasciata alle spalle la tumultuosa esperienza al servizio degli N.W.A, Dr. Dre decise che era arrivato il momento di raccogliere la sfida di un progetto solista, co-fondando – insieme a Suge Knight, il paroliere The D.O.C. ed il sinistro Michael “Harry-O” Harris – la Death Row Records, che la maggior parte del pubblico ricorderà per essere stata l’ultima “casa” di Tupac Shakur, prima del suo tragico assassinio.
Nei primi mesi del 1992, la Death Row, forte di un investimento (di dubbia provenienza) di circa tre milioni di dollari, aveva immediatamente bisogno di un lavoro che facesse il botto sul panorama discografico dell’epoca, in modo tale da guadagnarsi credibilità nel giro altolocato dell’industria e non rischiare un rapido tracollo finanziario.
Dr. Dre era letteralmente un lupo affamato: a corto di soldi (per via delle vicende processuali legate alla sua dipartita dalla Ruthless Records di Eazy-E*) e senza garanzie per il futuro, si gettò a capofitto nella realizzazione della sua opera, circondandosi di personalità altrettanto determinate e piene di talento; tra queste, è d’obbligo menzionare Snoop Doggy Dogg, Warren G e Nate Dogg, tre giovani promesse di Long Beach che sarebbero anche state pronte ad uccidere, se soltanto il produttore di Compton gliel’avesse chiesto.
Durante le registrazioni dell’album, l’atmosfera che si respirava negli studi di Beverly Hills era surreale, ma prepotentemente creativa: gli artisti non avevano i verdoni per vivere secondo le regole imposte dall’autorevole jet-set, per cui fecero gruppo, si chiusero a riccio e diventarono una sorta di famiglia, trasformando quegli stessi studi (forniti da Dick Griffey, padrone della SOLAR Records e socio della Death Row) in una specie di hotel a buon mercato.
Il risultato fu, a dir poco, straordinario. Quando “The Chronic” fece la sua comparsa nei negozi di dischi, il 15 dicembre 1992, ogni tipo di barriera territoriale tra le coste statunitensi venne abbattuta: nonostante le canzoni esaminassero prevalentemente la realtà dei ghetti losangelini e la brutalità del LAPD, anche migliaia di adolescenti provenienti dal Bronx, dal Queens e da qualsiasi altra parte del paese furono conquistati dal sound lucidamente ribelle proposto dall’ex beatmaker dei Niggaz Wit Attitude, così abile nel trasformare in musica meravigliosa gli sfaccettati temperamenti della strada.
“The Chronic”, in effetti, avrebbe potuto tranquillamente sostituire i telegiornali serali dell’epoca, candidandosi come insolente alternativa all’accomodante prosaicità della CNN: ogni canzone si avvale della potenza narrativa del miglior giornalismo d’inchiesta, descrivendo nei dettagli più scabrosi quella spaventosa realtà periferica – fatta di sangue e pistole - che la borghesia americana avrebbe volentieri lasciato in ombra.
La chiara intenzione di Dr. Dre era quella di fare un passo in avanti rispetto all’eredità lasciata dai precursori del gangsta rap tradizionale, offrendo al pubblico un’immagine più cosmopolita, che non guardasse soltanto a Compton, ma s’incaricasse di far da portavoce per ogni quartiere emarginato d’America, presso la corrotta società civile dei colletti bianchi; mentre gli N.W.A avevano dato in prima persona l’impressione di essere una provinciale minaccia per l’incolumità dei pettinati discendenti dello Zio Sam, Dr. Dre ha avuto qui la possibilità – finalmente – di esporre le sue verità, seppur sfacciate, senza coinvolgimenti emotivi extra-musicali, lasciando la capacità d’influenza presso le masse alla sola forza delle sue canzoni.
Un avvenimento storico di quel periodo, in particolare, caricò sulle spalle dell’artista la responsabilità di descrivere ogni aspetto sociale con cautela: indignata dalla sentenza che assolse gli agenti che avevano ridotto in fin di vita Rodney King, l’America nera aveva fatto esplodere tutta la sua rabbia nelle famose rivolte dell’aprile del ’92, in seguito alle quali la città di Los Angeles dovette fare i conti con un livello di devastazione pari a quello di un terremoto.
In questo clima di forte tensione razziale, Dr. Dre è riuscito nell’impresa di catalizzare perfettamente il sentimento idrofobo popolare, traducendolo nelle caotiche note G-Funk che fanno di “The Chronic” un capolavoro della musica di ogni genere e di tutti i tempi.
*In seguito al processo intentato da Eazy-E contro la Death Row – colpevole, quest’ultima, di aver sottratto Dr. Dre alla Ruthless Records con l’intimidazione - si stabilì che la label di Eazy avrebbe guadagnato circa 30 centesimi di dollaro per ogni copia di “The Chronic” venduta. Al 2015, l’album ha venduto quasi 6 milioni di copie negli Stati Uniti.