- Categoria: Recensioni
- Scritto da Gianluca
Salmo - Hellvisback (recensione)
Qualche giorno fa riguardavo una puntata di “Down with Bassi” con protagonista Salmo, rapper sardo che negli ultimi anni sta spopolando nella penisola italiana. Nel corso dell’intervista, Bassi Maestro e Bosca affermano di vedere in Salmo la personificazione del loro “sogno”, ossia un rapper in grado di arrivare al grande pubblico senza snaturare le fondamenta del proprio rap. Giusto per essere chiari, a me quell’affermazione non convinse per nulla. Pensai a rapper del calibro di Inoki, dei Cor Veleno, gente in grado di “farsi un nome” pur continuando a far rap in modo convincente, e rimasi stupito di come Bassi e Bosca sembravano essersi dimenticati di queste figure. Ho creduto con forza a tutto ciò fino all’uscita di “Hellvisback”, quarto album ufficiale di Salmo fuori dal 5 Febbraio! Bene, quest’album mi ha fatto capire a fondo le parole dei due veterani lombardi, perché Salmo per l’ennesima volta è riuscito a dimostrare quanto è musicalmente avanti rispetto al resto del Paese (in ambito rap chiaramente). Ma andiamo ad analizzare nel dettaglio l’album!
Il disco parte con “Mic Taser”, pezzo che secondo il sottoscritto rappresenta a pieno quello che è il senso di un Intro. E’ violento, è crudo, e soprattutto serve a far entrare l’ascoltatore nel mood del disco, gli da un anteprima chiara di quello che sarà. Subito dopo entriamo in quello che io amo definire come “Fattore Big Joe”: infatti qui abbiamo i due pezzi prodotti dal beatmaker palermitano, due autentiche mine che danno l’immagine di quello che è il rap di Salmo. Piccola postilla, Big Joe è probabilmente il produttore che meglio si sposa con le esigenze musicali del rapper sardo. Dopo un momento intermedio rappresentato da “Daytona”, ci troviamo immersi in un viaggio mattutino grazie a “Bentley vs Cadillac”, “7 AM”, e “L’alba”, tre pezzi tranquillamente considerabili come un unicum. L’ultima parte di questo grande viaggio (introdotta da “Hellvisback” è caratterizzata da due pezzi categorizzabili più come “hit”: “La festa è finita” e “Black Widow”). Ma la parte senza dubbio più interessante è rappresentata dall’outro, “Peyote”. In quei 9 minuti di canzone Salmo dimostra a tutti gli ascoltatori la sua capacità musicale, passando dal reggaeton al falsetto, dal rap anni 90 ad un attitudine più moderna (il tutto rivisitato chiaramente in chiave ironica): credo fermamente che bisognerebbe ascoltare questo pezzo per capire perché il rapper di Olbia sia riuscito a conquistarsi un consenso così ampio da parte del pubblico.
Per quanto riguarda le produzioni, queste sono state curate nei minimi dettagli da gente del calibro di Big Joe, Shablo, Low Kidd, Stabber e dallo stesso Salmo. Nonostante il lavoro di più persone su questo disco, tale lavoro assume sempre più le sembianze di concept album, anzi di tre mini concept album contenuti in un unico grande CD. Nella scelta dei featuring ci si è affidati esclusivamente a Travis Barker (da cui ci si aspettava di più alle batterie) e Victor Kwality.
In conclusione, non abbiamo paura nel definire “Hellvisback” come il miglior lavoro mainstream che sia mai stato prodotto in questa nazione. E’ un disco preciso, un disco che tiene conto delle evoluzioni senza lasciar da parte le radici. E forse avevano proprio ragione Bassi e Bosca a definire Salmo come “il grande sogno del rap italiano”.