- Categoria: Recensioni
- Scritto da Giuseppe
Yo Gotti - The Art Of Hustle (recensione)
Recentemente vi ho parlato, in toni molto negativi, del disco "Khalifa" di "Wiz Khalifa" osservando come, pur nel suo essere un disco di puro intrattenimento e senza pretese particolari, finiva con l'essere un progetto approssimativo e mal riuscito, frutto di quella che mi è sembrata essere una lavorazione frettolosa e da lavoro riempitivo. Oggi mi trovo a parlarvi di un altro disco senza pretese particolari, che non vuole comunicare niente all'ascoltatore e il cui unico obiettivo e dare un'oretta o poco più di svago. Il disco in questione è "The Art of Hustle" di Yo Gotti e, lo dico subito, consiglio a tutti coloro che sono affamati di bangers e di brani da pompare 3-4 volte in auto di virare su questo disco piuttosto che su quello del ben più celebre MC di Pittsburgh. Vediamo insieme perchè.
Yo Gotti apre "The Art of Hustle" con un brano, "My City", dove mette subito le cose in chiaro circa il "tema" portante del disco. Su un brano stranamente soft (sopratutto alla luce delle successive sonorità del lavoro) caratterizzato da una produzione leggera a base di accordi di chitarra e da una bravissima K. Michelle, le prime parole che pronuncia Gotti sono quelle che raccontono di come quando era bambino, interrogato su cosa volesse fare da grande dalla sua maestra, la sua risposta si limitò ad un freddo "voglio fare il gangster". Proprio questa frase ci svela in pratica l'intero senso del lavoro, il cui titolo è non a caso "The Art of Hustle". Per i 12 brani che compongono l'album, Gotti porta avanti una vera e propria celebrazione del gangsta-style su delle produzioni che, escluso appunto il primo brano, sono tutte fortemente inserite nel tipico solco della trap-music e del southern hip-hop (ma proprio quando le produzioni sono sobrie). I beats sono quasi tutti di pregevole fattura con nomi come Infamous, Kane Beatz, Luca Polizzi e Timbaland. Proprio da quest'ultimo era forse lecito aspettarsi di più, invece il leggendario producer non riesce ad andare oltre quello che per lui è poco più di un "compitino". Il padrone di casa si mostra abbastanza in forma per tutta la durata del disco, pur non brillando mai eccessivamente per virtuosismo tecnico o flow e riuscendo a mantenere insieme il lavoro più grazie al proprio carisma che alla tecnica. Le metriche sono il linea di massima semplici e le rime non troppo elaborate, ma l'MC riesce comunque a creare una serie di bangers che faranno felici gli appassionati del genere. Non mancano comunque brani un più deboli, tra cui a nostro avviso il peggio è il brano "Come Up". Il disco comunque scorre tranquillo regalando all'ascoltatore un tuffo in tutti i clichè del genere, dal brano per gli Haters (Smile) alla canzone dedicata alla made (Momma), non disturbando ma nemmeno sconvolgendo per l'originalità del lavoro (ma dubitiamo che Gotti si sia posto questo obiettivo). Citiamo poi le collaborazioni tra cui l'ottima K. Michelle, un mediocre Lil Wayne nel brano "Bible", un buon E-40 che non si discosta dal suo livello medio così come Future. Sottlineiamo che nella versione Deluxe del disco compaiono anche Pusha T e 2 Chainz. Per concludere questa fase descrittiva della nostra recensione facciamo poi un plauso alla title-track "The Art of Hustle" dove Gotti riesce a dare qualcosina in più dal punto di vista lirico (non aspettatevi una metamorfosi in Nas comunque) pur non rinunciando ad una base bella potente che, anche se lontana dalle sonorità trap del resto del disco, riesce comunque a soddisfare non poco gli amanti delle basi pesanti (alla Rick Ross per intenderci).
In conclusione "The Art of Hustle" è un buon disco. Nulla di imprescindibile, sia chiaro. Un buon lavoro che, per le 12 tracce che compongono la versione "vanilla", mantiene le promesse fatte da Gotti in apertura. Consigliato agli amanti del genere che sono abituati a saltare da un disco ad un altro sempre in cerca della prossima hit e che qui potranno trovare qualcosa di buono, almeno per un paio di serate.